Il Museo
[..] il Convento possiede il Museo di Arte Sacra con insigni reliquie conservate in preziosissimi cimeli [..]
Vale segnalare anche che il Convento possiede il Museo di Arte Sacra con insigni reliquie conservate in preziosissimi cimeli, (il corpus è religioso, prevalentemente costituito da reliquiari databili tra il XIV e il XVI secolo) di argento e di rame dorato di rara finezza e di notevole pregio intrinseco e storico-artistico. Auspicato da frate Egidio Ricotti ad inizio novecento, da frate Nicola Petrone e da altri frati, il Museo si inserisce lungo un percorso iniziato già da tempo, decisamente voluto e condotto, con impegno e passione da P.Emidio, da P. Gabriele, in collaborazione con Vittorio Bianchi, che hanno fortemente creduto alla creazione di un Museo di Arte Sacra, che a partire dal 1996 si è avviato l’iter per il riconoscimento da parte della Regione Abruzzo del Museo di Arte Sacra di Castelvecchio Subequo, riconoscimento avvenuto in data 28/12/1995 con deliberazione Giunta Regionale n. 6434 del 28/12/1995 con esito favorevole per la 3^ Categoria.

Il Museo del convento

Il Museo, nasce dall’esigenza di dare un’adeguata collocazione e valorizzazione ad opere d’arte di particolare pregio storico-artistico insieme a preziosi e innumerevoli oggetti sacri come pianete, paramenti liturgici di altissimo artigianato, tessuti, argenti e sculture arredi e sculture lignee reliquie dall’inestimabile valore spirituale conservate in preziosi cimeli. Il corpus è religioso, prevalentemente costituito da reliquiari in argento e rame dorato databili tra il XIV e il XVI secolo e forniscono una preziosa documentazione della tradizione artistica e della storia locale, comprendendo meglio l’intensità del legame profondo che unisce Castelvecchio alla vicenda umana e ultramondana di Francesco d’Assisi. Così forte, appunto, da volerne esaltare il mistero e la capacità evocativa attraverso splendidi cimeli. La lavorazione dei reliquiari, la maestria degli intarsi e la pregevolezza degli apparati decorativi, la costante riproduzione dello stemma dei conti di Celano sui parti migliori di quello che per tutti è il “Tesoro di San Francesco”, non sono solo manifestazione di pregevole arte orafa, ma danno l’idea di quanto forte fosse la considerazione e l’interesse che i signori del tempo riponevano nell’azione della comunità francescana e nel messaggio del poverello d’Assisi. Tra le teche del museo, il visitatore può ripercorrere le tappe salienti della tradizione storica e spirituale su cui si è radicata ed è cresciuta nei secoli la comunità locale. La funzione del Museo di Arte Sacra è anzitutto garantire una migliore tutela del patrimonio artistico e custodire le opere d’arte; documentare ciò che gli artisti hanno prodotto consentendo alle persone di ammirare capolavori poco noti o destinati all’abbandono, un utile strumento di conoscenza e di approfondimento per lo studio e la conoscenza del nostro territorio ricco di storia e di arte e di fede, come pure una funzione formativa e didattica con l’intento di trasmettere alle giovani generazioni i valori umani e cristiani. Questi beni che raccontano la vita della comunità attraverso il linguaggio dell’arte, sono la testimonianza della nostra cultura e pertanto vanno valorizzati. Questa esposizione è, dunque, un’avvincente proposta culturale, un arricchimento unico, un percorso intellettuale e spirituale, sia per la comunità cristiana sia per la società civile, uno spazio per l’arte e per la memoria, un luogo di scoperta e salvaguardia dell’identità storico-religiosa del paese che amplia nuove prospettive di studio e di conoscenza. Lungo la parete laterale di chi entra è collocata una teca dove si possono osservare due Piviali: il primo della prima metà del XVII secolo in Damasco e seta, fondo e decorazione viola; modello canonico romano. Galloni in seta bicroma (giallo e viola) decorati con un motivo geometrico. Cappuccio ancorato con tre alamari e profilato con frangia in seta gialla e viola. Tasselli di tessuto e galloni differenziati. Fodera in tela di lino indaco. Il secondo del XVIII secolo, 1730 ca. in Gros de Tours broccato in seta e argento, fondo celeste, decorazione policroma e argento; Modello canonico romano. Galloni in oro filato decorati con un motivo geometrico. Cappuccio ancorato con tre alamari di seta rossa e oro, profilato con trina a fuselli in oro filato e lamellare. Fodera in taffetas celeste.

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+ A.D. MCCCCXII + HAS + IMAGINES/ FECIT.FIERI + F.BAR.DE.ACZAN +PRO+ / ANIMA.DOMINE MARGARITE. DE. PRI/ IAN + QUONDAM + COMITISSE + CELANI.”

Proseguendo di fronte si osserva
LA VERGINE COL BAMBINO E DUE ANGELI, DETTA LA PASQUARELLA

Gruppo di argento sbalzato e dorato. Decorazione a traforo semplicissima, formata da una teoria di nicchie ed archi tripartiti nel centro dei quali si ammirano Angeli. La Vergine con Bambino in argento sbalzato e dorato, meglio conosciuta come “la Pasquarella” in quanto un tempo si usava portarla in processione nel giorno del lunedì di Pasqua, è raffigurata su uno scranno mentre sorregge sul ginocchio sinistro Gesù benedicente, affiancata da due angeli adoranti. Le figure a tutto tondo poggiano su una base a profilo mistilineo dal bordo adorno da una serie di 36 archetti trilobi con figurine angeliche a smalto azzurro. L’iscrizione con l’anno d’esecuzione e il nome del committente, che fece fare l’immagine in suffragio della defunta donna Margherita Prignani, contessa di Celano, moglie di Pietro II, recita:

+ A.D. MCCCCXII + HAS + IMAGINES/ FECIT.FIERI + F.BAR.DE.ACZAN +PRO+ / ANIMA.DOMINE MARGARITE. DE. PRI/ IAN + QUONDAM + COMITISSE + CELANI

Come la Croce Reliquiario di Nicola Piczulo, questa opera fu dunque fatta eseguire dallo stesso Fra Bartolomeo di Acciano nel 1412, in memoria di Donna Margarita Prignani, già contessa di Celano. Nella parte bassa, di fronte a ciascun Angelo c’è una coroncina circolare a forma di foro. I campi della coroncina sono smaltati di nero: in quello a destra sono tutte stelle di argento dorato ed in quello di sinistra la seguente iscrizione gotica:
+ IESSUS (sic). AUTEM. TRANCIENS. P (er medium eorum ibat), citazione del Vangelo di Luca IV,30, molto ricorrente a quel tempo. Nel piano sotto la lamina della base è graffita con caratteri dell’epoca: PESA OZE XVIII OTTA III.
Il manufatto è punzonato con quattro bolli gotici SUL, rispettivamente: sull’angolo destro della predella, sulla facciata posteriore della base, sul tergo del trono, sul dorso della Vergine.
A fianco una teca contenente due reliquiari

CROCE RELIQUIARIO
da altare di argento dorato, (1403) La stupenda croce da altare è sostenuta da un alto piede a base esagonale decorato con rosoni trilobati recanti gli stemmi, in smalto verde, dei Conti di Celano. Al centro del fusto, a sezione esagonale, tutto lavorato a cesello e a bulino, troviamo un nodo decorato da piccole foglie e da sei rosoncini smaltati. Nel piede lungo i sei lati del poligono è sovrapposta una fascetta con la seguente iscrizione in lettere gotiche smaltate di nero:

+ TEMPORE + COLE + COMITIS + CEL/AI + FRATER + BARTHOLOMEO + DE ACZAO + FECIT + FI/ERI + HOC + OPUS. ANNO DOMINI + M + CCCC + III + COLA + PI/CCIOLU + D + S +

Come si desume dall’iscrizione la Croce fu eseguita dall’orafo Nicola Piczulo per la Chiesa stessa di S. Francesco per incarico del Superiore del Convento Fra Bartolomeo di Acciano, durante la Signoria dei Conti di Celano, al tempo di Cola, che verosimilmente donò l’opera. Le quattro estremità della croce, decorate da grani d’ambra e di corallo, terminano con formelle quadrilobate in smalto trasparente, in cui sono raffigurati il Calvario con teschio, il pellicano che nutre i propri figli con sangue una figura con le mani giunte (probabilmente san Giovanni) e con capigliatura aperta, una figura con le mani conserte poggiate sul ginocchio destro, verosimilmente la Vergine.
Nell’incrocio dei bracci si trova un altro rosone quadrilobato che raffigura, in smalto verde, giallo e viola sul fondo bleu, il Cristo Pantocràtore.
Nel verso le quattro estremità della Croce terminano con rosoni quadrilobati simili a quelli della faccia anteriore, e nelle formelle vi sono fori circolari per la vista delle reliquie. Nell’incrocio e nel mezzo della parte inferiore vi sono altre due reliquie chiuse da dischi di vetro.
Nel recto, al centro, inchiodato è il Crocefisso a tutto tondo. Le quattro estremità della Croce terminano con formelle quadrilobate e sono decorate da grani di ambra e di corallo infissi nei bordi. Nelle formelle, in smalto trasparente sono figurate rispettivamente nell’estremità inferiore: il Calvario con teschio, in quella superiore: il Pellicano che nutre i figli con il proprio sangue: nella destra del Crocefisso una figura con le mani giunte poggiate sul ginocchio sinistro, probabilmente S. Giovanni, nella sinistra, con capigliatura aperta, una figura con le mani conserte poggiate sul ginocchio destro, verosimilmente la Vergine.
Nell’incrocio dei bracci si trova un altro rosone quadrilobato che raffigura, in smalto verde, giallo e viola sul fondo bleu, il Cristo Pantocràtore. Nel verso le quattro estremità della Croce terminano con rosoni quadrilobati simili a quelli della faccia anteriore, e nelle formelle vi sono fori circolari per la vista delle reliquie. Nell’incrocio e nel mezzo della parte inferiore vi sono altre due reliquie chiuse da dischi di vetro, come le altre. Eseguita nel 1403, l’opera presenta una punzonatura SUL alla base del piede, precisamente in testa al rosone trilobato che richiude lo stemma dei Conti di Celano.

Il Museo del convento

RELIQUIARIO A TEMPIETTO Fine XIV Sec.

Il reliquiario, tra quelli a tempietto di derivazione gotica, è da considerarsi una delle più interessanti opere dell’oreficeria sulmonese della fine del XIV secolo. Fine esemplare per eleganza e stile, per la qualità degli smalti, l’originalità degli accostamenti cromatici e la raffinatezza dei dettagli, il reliquiario è punzonato con quattro bolli del primo tipo della serie sulmonese “SUL”, in uso nella seconda metà del XIV secolo.
II piede bulinato è a pianta mistilinea, a sei lobi alternati ad angoli sporgenti e decorati da rosoni a smalto con le mezze figure della Madonna col Bambino, san Ludovico da Tolosa, santa Caterina d’Alessandria, san Sebastiano, una santa non identificata (potrebbe trattarsi di santa Chiara), san Francesco e due stemmi raffiguranti nel seguente ordine: lo stemma dei Conti di Celano e uno stemma non identificato (presenta uno scudo ripartito in quattro triangoli: in due dei quali vi sono tre serpentelli e negli altri due, un’aquila), un Santo Pontefice non identificato, S. Luigi. L’opera presenta quattro bolli gotici SUL. Il fusto, a sezione esagonale, è diviso da un nodo ornato in ciascun lato da figure, a smalto verde su fondo bleu, di drago, arpie e altri animali fantastici. Nella parte superiore, assieme alle raffigurazioni di un vecchio e una giovane, quelle di un’aquila, un’altra faccia giovanile, un leone e un bue sembrano essere i simboli dei quattro evangelisti: san Giovanni, san Matteo, san Marco, san Luca. Il prisma che unisce il piede al guscio dritto, cui posa l’urna che chiude la reliquia, è cinto al centro con un grosso anello ornato all’intorno da se medaglioni circolari, entro i quali sono, a smalto trasparente quattro Santi e due stemmi raffiguranti nel seguente ordine: lo stemma dei Conti di Celano, S. Francesco, S. Chiara, uno stemma non identificato, un Santo Pontefice non identificato, S. Luigi. L’urna è divisa in tre pezzi, l’uno sovrapposto all’altro, e ciascuno di forma prismatica esagonale.
La teca, lavorata a traforo, è a forma di tempietto esagonale a due ordini di trifore e bifore cuspidate ed è divisa in tre pezzi. Il primo pezzo che rappresentala base del tempietto ed è quello più ampio, ha in ogni faccia sei trifore, alternate con pilastrini sormontati da pinnacoli. Il secondo pezzo, quello centrale, a forma di torre esagonale, è coronato di merli guelfi e in ciascuna delle sei facce sono rosoni trilobati a traforo. II terzo pezzo, in altra cinta prismatica ha, nelle cui facce sono ad archi tripartiti, bifore coronate da frontoni, termina con una cupola cuspidale con le facce ornata di rosoni trilobati a traforo. Fine esemplare di oreficeria per eleganza e stile, il reliquiario tra quelli a tempietto di derivazione gotica, se non l’opera più interessante, certamente è da considerarsi una delle più belle dell’oreficeria sulmonese della fine del XIV secolo.
Santa Caterina d’Alessandria e San Ludovico Vescovo del XV e XVI secolo
Notevole sono due sculture lignee policrome raffiguranti Santa Caterina d’Alessandria e San Ludovico Vescovo del XV e XVI secolo. La prima scultura raffigura santa Caterina d’Alessandria, in abito verde scuro arabescato e manto rosso con fioroni bianchi. La mano destra, oggi disadorna, forse in origine portava la palma del martirio. Sulla base, con caratteri gotici maiuscoli, è scritto S. CATHARINA. Scultura artigianale abruzzese del XV secolo La seconda scultura policroma è una rappresentazione di san Ludovico da Tolosa vestito di una tonaca di colore grigio-marrone e un manto verde scuro foderato di rosso con motivi gigliacei. Il santo, ritratto in atto benedicente, regge con la sinistra un libro e ha sul capo la mitra. Sulla base, con caratteri gotici maiuscoli, si notano alcune lettere indecifrabili: forse il nome del santo. Segue una teca con contenente 5 reliquiari:

RELIQUIARI

il Museo del Convento

RELIQUIARIO Sec. XVI

Di rame dorato a forma di tempietto esagonale, con piede rotondo. Tanto il piede quanto la cuspide sono decorati da fregi fogliacei simmetrici

CROCE di cristallo di rocca. Sec. XVI

La croce non ha più il suo Crocefisso indicato dai buchi di fissaggio. La teca cilindrica posta a guisa di nodo tra il fusto e la croce, è evidenziata da finestrine arcuate. Il fusto, su piede in argento e rame dorato, presenta un nodo di forma quasi cilindrica con cupola emisferica retta da quattro archi a tutto sesto, contenente reliquie. Le quattro estremità della croce, in finissimo cristallo di rocca, sono trilobate. Come si evince da tre forellini praticati nei due bracci orizzontali e alla base della croce, in origine vi era fissato il Crocefisso, probabilmente in argento.

RELIQUIARIO Sec. XV

Base a quattro foglie terminanti con piedino di leone; nei piccoli rosoni del nodo spiccano quattro figure di Santi. E’ di cristallo legato in argento dorato.

RELIQUIARIO a forma di tempietto Sec. XV-XVI

In rame dorato con piede esagonale. Nel nodo si notano quattro sporgenze a losanghe con rosette smaltate di azzurro intenso. Alla base esagonale sono incastonati, con forme rettangolari e ovali, vetri colorati.

RELIQUIARIO Sec. XV

Di rame dorato a forma di tempietto esagonale, con piede rotondo. Tanto il piede quanto la cuspide sono decorati da fregi fogliacei simmetrici.

RELIQUIARIO IN ARGENTO E CRISTALLO 1556

Il reliquiario, dal piede rotondo decorato a cesello come il fusto, il nodo e la coppa, è sormontato da una cupola in cristallo. Al suo interno custodisce un dente ritenuto appartenente alle spoglie di san Domenico Abate. La certezza della datazione è fornita dall’incisione nel sottocoppa: M.CCCCC.LVI. Il lavoro, anche se non punzonato, è riconducibile alla scuola sulmonese.

SEZIONE ARGENTI

La sezione argenti è collocata nella parete di fronte con opere di particolare interesse, alcune delle quali di aspetto elegante e ottima fattura (turiboli, navicelle, reliquari e ostensori, fustelle, calici, patene di argento di oreficeria abruzzese del secolo XVIII.
Calici e patene di argento di oreficeria abruzzese del secolo XVIII.
Tra questi, il calice a base circolare con guscio, fusto, nodo e sottocoppa lavorati a cesello, punzonato col bollo camerale napoletano (partenope affiancata da crocetta) e bollo dell’argentiere SC.

Tre corone di argento, pregiati lavori di oreficeria abruzzese del secolo XVIII. Acquasantiere sec. XVII Fustelle manuali per il taglio di ostie e particole.

Cofanetto secolo XIV Il cofanetto è a forma di cassettina prismatica in peltro o comunque lega con stagno. La decorazione è affidata soprattutto a figurine di armigeri stilizzate entro arcate ogivali.
Su una fascia di testata è raffigurato San Pietro in trono tra un cardinale e un armigero. Il coperchio è decorato da sei tondi con bordo a perlinato contenenti animali stilizzati.

Ostensori sec. XVIII Il primo ostensorio, di scuola napoletana, poggia su una base sorretta da quattro piedini a volute lavorate a sbalzo e da cui sporgono due testine di putti, sormontata su una sfera con stelle incise. Sopra la sfera, una figura di angelo sostiene la raggiera col finestrino contornato da tralci e testine angeliche. Il secondo ostensorio, di lavorazione evidentemente più semplice, proviene dalla parrocchia di S. Nicola di Bari di Molina Aterno. Turibolo in argento prima metà secolo XIX (altri studi lo collocano a cavallo tra XVII e XVIII secolo).

Il turibolo, lavorato a sbalzo e cesello, riporta lungo il bordo della base la scritta con il nome del donatore: «A DIVOZ.NE DI FRAN.CO MUSTI 1832». Di scuola napoletana , è punzonato col bollo SC di sconosciuto argentiere.

Navicella a galeone e cucchiaino e in argento datazione: secolo XVIII Mentre la navicella non presenta bolli, il cucchiaino è punzonato col bollo T.T., forse dell’anonimo argentiere; all’estremità è presente uno stemma nobiliare.

Navicella d’accompagno in argento prima metà del secolo XIX La navicella presenta lungo il bordo del piede la stessa scritta che ricorda il donatore: «A DIVOZ.NE DI FRAN.CO MUSTI 1832». L’oggetto è punzonato col bollo camerale napoletano (partenope).

Pace-reliquiari di lamina di ottone argentato. Esempio di argenteria abruzzese del secolo XVIII.

Medaglione d’argento contenente un anello d’oro con il sigillo dei conti di Celano.
Nella teca accanto
Croci processionali del XVII secolo.

La prima proviene dalla chiesa dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Castelvecchio Subequo in lamina d’argento e ottone del secolo XVII a doppia faccia, con disegni cesellati, foglie e ghiande, con otto figure entro formelle quadrilobe. La seconda dalla parrocchia di San Nicola di Bari di Molina Aterno.
Derivata da una veste da viaggio greco-romana chiamata inizialmente penula, poi casula, cioè “piccola casa”, la pianeta è assunta come veste liturgica, indossata dal sacerdote durante la celebrazione della santa Messa, sin dalla prima cristianità con la foggia a campana con una sola apertura per il passaggio della testa. Nel suo significato simbolico rappresenta la Chiesa nella sua universalità. Dal XIII secolo assunse la forma dello scapolare e solo dalla seconda metà dell’ottocento si registra una tendenza al recupero dell’antica forma a casula.
Straordinaria è la pianeta (n. 1) databile tra XV e XVI secolo, tessuta in broccatello di seta e canapa dai colori giallo e celeste nelle fiancate, il cui modulo decorativo, diffuso nei paramenti sacri delle diocesi di Spoleto, Assisi e Orvieto, mostra una serie orizzontale di palmette con al centro un motivo a fiore di cardo e negli interstizi fiori stilizzati con grandi corolle. La colonna posteriore, lo scollo e la croce anteriore sono in velluto tagliato ad un corpo su base in raso serico verde che mostra nel decoro una variante del disegno del fiore di loto, del cardo e della palmetta. Sul retro, entro una cornice dorata, è ricamato uno stemma ovale bipartito. Nel campo superiore un’aquila ad ali spiegate con stella argentea sul capo; nel campo inferiore tre bande celesti alternate a tre argentee, di cui la prima ornata con tre mezze lune. Lo stemma è da riferirsi alla famiglia Pietropaoli.
La suggestiva pianeta (n. 2) realizzata in damasco classico corredata da una stola, è databile alla seconda metà del secolo XVI. Il grande modulo decorativo, noto tra i paramenti sacri coevi in Abruzzo e in Umbria, mostra un motivo a maglie stellari costituite da tronchi con anima a scacchiera triangolare legati da un anello decorato a scacchiera quadrata. All’interno di ogni motivo campeggia una grande melagrana. Sul retro della pianeta è applicato uno stemma cardinalizio ricamato: su fondo argento, un’aquila ad ali spiegate coronata in oro e, sugli altri due quarti, uno stemma su base inquartata decorata a bande diagonali in argento e triangolo rosso sormontato da forma trilobata. San Francesco
Un’altra pianeta e stola in damasco ( n. 3) è databile intorno alla prima metà del secolo XVII: ha un decoro verde su verde, costituito da grandi maglie ogivali rese da grandi tronchi percorsi al loro interno da un nastro ritorto e decorato a scacchi rettangolari. La particolarità di questa pianeta è la presenza di un ulteriore decoro eseguito sulla colonna posteriore sullo scollo e sulla croce anteriore, a ricamo in oro in punto steso e posato e formante esili girali fogliati da cui scaturiscono fiori rappresentati in cinque forme diversificate.
Particolarissima è anche l’ultima pianeta (n. 4) con stola databile alla prima metà del secolo XVII, di colore verde acido tecnicamente definibile: diagonale lanciato in seta e argento e broccato in oro. Questa tipologia tecnica risulta molto rara per la delicatezza dei filati impiegati per la realizzazione del prezioso tessuto. Due pianete di simile decoro e tecnica, ma con cromie variate, si conservano nella Chiesa Parrocchiale di Pescocostanzo in Abruzzo. La grazia del decoro è determinata da un motivo decorativo verticale costituito da esili tralci sinuosi e da melagrane disposte in serie sfalsate orizzontali con una soluzione disegnativa equilibrata ed armoniosa.
GLI ALTARI E LE TELE PIU’ IMPORTANTI
L’ASSUNTA

Entrando dal lato destro della porta centrale, osserviamo l’altare della “Cintura” con una stupenda tela opera di un grande maestro della scuola umbra. Nella parte centrale della tela c’è la Vergine circondata da una folta schiera di Angeli e in basso, ai due lati sono raffigurati Francesco d’Assisi ed Antonio di Padova che aprono la doppia fila degli Apostoli. In alto per riempire la lunetta, è stata posta una pittura su tavola di un altro autore. Scolpito in pietra bianca, era di diritto patronale della famiglia Pietropaoli, anzi ai piedi dell’altare c’era la tomba dell’illustre casata.

LA VERGINE INCORONATA

Il terzo altare, in pietra scolpito, ci presenta la Vergine che viene incoronata da Gesù e dall’Eterno Padre, circondati da una schiera di Angeli festanti. L’opera risale al 1651.

LA MADONNA DEGLI ANGELI

Vicino alla cappella di S. Francesco c’è il quadro della Madonna degli Angeli. Nella parte centrale della tela è dipinta la Vergine circondata da una schiera di Angeli. In basso sono dipinti quattro santi francescani: S. Francesco, S. Bonaventura, S. Antonio e S. Bernardino. Come risulta dalla lapide posta accanto all’altare, il lavoro risale alla fine del XVI secolo.

LA VERGINE DEL SOCCORSO

Accanto alla colonna che regge l’arco trionfale dell’altare maggiore c’è una tela stupenda. Il quadro rappresenta la Vergine che regge su un braccio il bimbo divino, mentre nell’altra mano tiene un bastone sollevato. Ai piedi c’è il demonio sconfitto. Ai lati sono dipinte le immagini di S. Pietro e di S. Nicola.

LA NATIVITA’

Nell’altro lato della chiesa, attiguo all’altare di S. Antonio, troviamo il quadro della natività. E’ un’opera secentesca di scuola napoletana.

LA VERGINE DEL ROSARIO

La tela risale alla seconda metà del XVI secolo. Al centro c’è un tondo raffigurante la Vergine seduta sul trono con S. Domenico e S. Caterina. Intorno ci sono quindici tondini riproducenti i quindici misteri del rosario.

S. AGAPITO

E’ l’unico quadro firmato dall’autore che risponde al nome di Nicola Delen, pittore fiammingo, che lo eseguì nel 1649.

S. ANNA CON LA MADONNA MAMBINA

Il lavoro è finissimo; esso doveva appartenere a qualche famiglia nobile del luogo che lo regalò alla chiesa nella seconda metà del XVII secolo, quando fu eretto l’altare.

ALTARE MAGGIORE

Quest’altare è un capolavoro scultoreo di rara bellezza e grandiosità: la sua mole solenne di otto metri di altezza è ornata da 27 statuette finemente intagliate. Alcune di esse rappresentano gli Angeli che recano tra le mani i simboli della passione di Cristo. C’è l’Immacolata, S. Giovanni Battista, S. Giuseppe, i SS. Pietro e Paolo con i vari Santi e Sante francescani, in alto domina la statuetta del Cristo Risorto. Gli autori di questo capolavoro sono ignoti, però, stando ad una tradizione locale, molto antica e attendibile, si vuole siano stati dei religiosi che avevano frequentato la scuola del Bernini ed avevano assimilato molto bene lo stile e qui abbiamo un saggio di tanta bravura. L’opera fu eseguita alla fine del XVII secolo per commissione dei Baroni Pietropaoli e vollero che i loro stemmi fossero incisi ai due lati dell’altare.

CORO

Dietro l’altare maggiore c’è il coro che risale alla stessa epoca in cui fu eseguito l’altare: lavoro in noce, con scanni di un certo pregio.

ORGANO E PULPITO

La chiesa inoltre è arricchita da uno stupendo organo settecentesco, la cui struttura è di grande importanza artistica;