Fonte: RIVISTADELL’ISTITUTO NAZIONALED’ARCHEOLOGIAE STORIA DELL’ARTE
CASTELVECCHIO SUBEQUO, CHIESA DI SAN FRANCESCO. LE OPZIONI ICONOGRAFICHE NEI CICLI PITTORICI,TRA MODELLI NORMATIVI ED ESIGENZE DI COMUNICAZIONE
di Francesca Pomarici

All’epoca della sua fondazione,1 la chiesa delconvento di San Francesco a Castelvecchio Su-bequo ricevette un’ampia e articolata decorazionepittorica che rivestiva, in stretto rapporto con lestrutture architettoniche, la volta e le pareti del corononché la sommità delle pareti della navata centrale.Un altro ampio intervento pittorico si ebbe verso lafine del Trecento, quando, al termine della navatelladestra della chiesa, forse rimaneggiando il braccio diun precedente transetto, fu realizzata la cappellagentilizia dei conti di Celano la quale venne intera-mente affrescata con storie della vita del santo tito-lare. Nel corso del tempo, a seguito dei rifacimentiarchitettonici e di nuove disposizioni dell’arredo li-turgico le pitture vennero per una parte cancellate eper il resto dimenticate fino alla campagna di restau-ro degli anni settanta del secolo scorso, che non soloha riportato alla luce i resti della decorazione pitto-rica della navata centrale ma ha anche fatto sì che siriaccendesse l’attenzione sugli altri due cicli a lungodel tutto trascurati.2 Ed è stata una fortuna che que-sto sia avvenuto, perché, pur nel loro stato frammen-tario, le pitture della chiesa francescana di Castelvec-chio offrono un’occasione unica per ricostruire uno

spaccato dell’oltremodo complessa e sfaccettata sto-ria del rapporto tra frati minori e immagini; unospaccato che ci fa percepire con concretezza quelmutare delle necessità e dei sentimenti che rende divolta in volta viva ed emozionante la trasposizioneformale di concetti spirituali e culturali.Il più antico dei cicli pittorici è quello che si trovanel coro, area da cui principiò la costruzione dellachiesa. Non è detto che la decorazione affrescata siastata eseguita appena edificata la struttura architet-tonica ma è comunque evidente come essa costitui-sca parte integrante del progetto architettonico cheaffidava al coro, in pieno spirito mendicante,3 il ruo-lo fondamentale nella drammatizzazione dello spa-zio nell’edificio ecclesiastico4 e pertanto la sua realiz-zazione non si può discostare di molto dalla fabbricaarchitettonica. Il complesso decorativo, in stato gra-vemente frammentario, investe tutte le superfici delcoro partendo dalla volta a crociera costolonata(Fig. 1) dove, su un fondo azzurro scuro punteggia-to di bolli rossi dal profilo raggiato,5 sono disposti isimboli degli evangelisti, tra i quali è oggi pienamen-te leggibile solo il toro (Fig. 5) con grandi ali a piu-maggio cangiante e con il libro aperto che mostra la

frase iniziale del vangelo di Luca (1, 5);6 e proseguen-do sulle pareti, dove si trovano: su quella di fondo(Fig. 2), in alto la Crocifissione e al di sotto l’Annun-ciazione; a sinistra, l’Incoronazione della Vergine aldi sopra della Dormitio e, a destra, in alto il Sogno diInnocenzo III e inferiormente un’immagine del san-to titolare, in una sorta di nicchia dipinta e pochi restidi quella che doveva essere, ma la questione dovràessere analizzata nei dettagli, una raffigurazione delmiracolo delle stigmate.Nel complesso le scelte iconografiche attuate sul-le pareti del coro si situano al vertice delle predilezio-ni dell’ordine dei Minori: incarnazione e sacrificio diCristo, esaltazione della Vergine e missione del Fon-datore, sono tutti temi che sono stati declinati in in-finite versioni nei decenni che precedono e che se-guono le pitture subequane.7 Osservati però nei det-tagli, i murali del coro di San Francesco, nonostantela gravità delle perdite di pellicola pittorica, fornisco-no una serie di dati che si possono definire sorpren-denti e che sono in grado di portare un soffio d’arianuova in una tematica egemonizzata dai modelli as-sisiati.Partiamo dalla Crocifissione (Fig. 6), che occupail registro superiore della parete terminale. Una va-sta lacuna ha cancellato quasi totalmente la figuradel Crocifisso (resta solo un frammento dei piedi edegli stinchi) mentre degli astanti si conservano partisufficienti per constatare che non si tratta di una ver-sione consueta del tema. A sinistra infatti si può rico-noscere, benché sia andata perduta tutta la parte del-le teste, una raffigurazione dello svenimento della
Vergine formata da sole due figure, quella della ma-dre di Dio e quella di una delle Marie che alle suespalle la sorregge, mentre dall’altro lato della croce,sulla destra, appaiono due figure maschili. Della pri-ma, che indossa una tunica bianca e un pallio rosanon sono più visibili la testa e il busto, ma non ci puòessere dubbio sul fatto che doveva trattarsi di Gio-vanni evangelista, mentre per quanto riguarda la se-conda, che è l’unica conservata quasi interamente,l’identificazione è tutt’altro che ovvia. Il personag-gio è anch’esso abbigliato con tunica e pallio, grigio-celeste, ha lunghi capelli e lunga barba bianchi e ha il braccio sinistro piegato davanti al petto con la ma-no che sembrerebbe indicare verso il centro dellacomposizione. L’altro braccio è perduto, ma dovevacomunque essere proteso in alto sempre verso il cen-tro.8 Dalla presenza dello svenimento della Verginesi può capire che siamo in presenza della rappresen-tazione del momento della morte effettiva di Gesùsulla croce anche se qui non c’è il soldato che sferrail colpo di lancia, elemento importante della scenanella sua integrità, come illustra una delle due gran-di Crocifissioni di Cimabue nella Basilica Superioredi Assisi, quella del transetto nord (Fig. 7).9 Ma l’immagine di Castelvecchio non sembra tanto volerrappresentare un determinato momento della Pas-sione quanto piuttosto alludervi e la particolare na-tura di questa allusione è probabilmente racchiusanell’identità della figura canuta che chiude la com-posizione a destra. I vangeli narrano che, una voltaconstatata la morte di Cristo, Giuseppe d’Arimateasi occupò della deposizione e del seppellimento delcorpo; nel vangelo di Giovanni però a lui si affiancaanche un altro personaggio, Nicodemo, un fariseocon un ruolo eminente tra i giudei, che aveva già inprecedenza incontrato il messia (Giovanni 3,1-21; 20,39) ed è in quest’ultimo personaggio che, per una se-rie di elementi, si può a mio avviso identificare la fi-gura in più presente nella nostra Crocifissione.10 Unprimo elemento è costituito dalla corrispondenzaiconografica: capelli e barba lunghi e bianchi sonoinfatti un tratto distintivo nella pittura del tempo percaratterizzare i farisei e inoltre, a guardar bene, siscorge anche intorno al collo del personaggio unpezzo di stoffa bianca che potrebbe costituire la trac-cia di quella sciarpa avvolta intorno alla testa che eraun altro attributo dei membri di tale corrente.11 Piùimportante però è un elemento ulteriore, in quanto
potrebbe anche spiegare il gesto del personaggio e,nel contempo, la ragione stessa della sua presenza.Nel Vangelo di Giovanni, Nicodemo compare unaprima volta, durante la Prima Pasqua, quando si recadi notte presso Gesù per parlare con lui di nascosto(3,1-21). Tra le risposte che ottiene ve n’è una in par-ticolare che può essere messa in relazione con l’im-magine di Castelvecchio: alla richiesta del maestrogiudeo di spiegargli come si poteva credere a quelloche stava accadendo, di spiegargli in sostanza comesi poteva raggiungere la fede, Gesù risponde evocan-do il suo prossimo sacrificio «E come Mosé innalzòil serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzatoil Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui ab-bia la vita eterna».12 L’atteggiamento del possibileNicodemo che con la mano sinistra indica verso ilCrocifisso e con il braccio destro alzato, oggi man-cante, compiva probabilmente un gesto di acclama-zione,13 poteva dunque essere stato concepito per ri-chiamare l’attenzione sulla necessità del sacrificio diCristo ai fini della salvezza.14 La presenza quindi diquesto personaggio in più rispetto allo schema con-sueto della scena, ci potrebbe rivelare, se identificatonel senso sopra esposto, che non siamo di fronte aduna raffigurazione dell’evento sacro con funzione memoriale o devozionale,15 bensì piuttosto al puntodi avvio di un discorso sul significato della vicendadel Fondatore che come vedremo si sviluppa su tuttele pareti del coro.16Nel registro sottostante, con un effetto di alta sug-gestione emotiva e intellettuale, i brani superstitidell’Annunciazione si dispongono ai lati della mono-fora absidale, in origine messa in risalto da un illusivo intarsio ‘cosmatesco’ a grandi rotae, di cui si con-servano le tracce nella zona inferiore (Fig. 8). Tale prestigiosa decorazione, che significativamente, co-me si vedrà, non è presente nello sguincio dell’altrafinestra, quella sulla parete destra, induce a credereche l’elemento architettonico sia stato sfruttato condeterminazione per dare alla luce naturale una va-lenza teofanica: la finestra infatti si situa proprio nelpunto in cui di consueto vengono raffigurati i raggidorati che, provenienti da Dio padre, vanno a colpirela Vergine.17 L’intenzione si rivela in modo evidentese si confronta la scena di Castelvecchio con l’An-nunciazione del ciclo di mosaici alla base della calot-ta absidale della basilica romana di Santa Maria Maggiore che, tra le raffigurazioni a vario titolo con-frontabili con la nostra, è quella più strettamente af-fine (Fig. 9). Identico vi appare il gesto dell’Annun-ziata, con le palme delle mani alzate davanti al busto,così come l’abbigliamento costituito da una vesterossa e dal manto blu scuro.18 Analoga anche la posizione stante, all’interno di una edicola che nellachiesa francescana appare ridotta all’essenziale e privata di ogni indicazione d’uso, come un sedile, ma dotata comunque di una efficace ornamentazione digusto antiquario: una cornice a foglie lanceolate,uguale a quella che orna la più ricca struttura delmosaico in Santa Maria Maggiore, e una modanatu-ra ad ovuli che corre sull’estradosso dell’arco con lieve stacco cromatico. La posizione dell’angelo, invece, differisce, perché quello di Castelvecchio èraffigurato in ginocchio;19 come anche differisce ladisposizione complessiva del gruppo dato che, ecce-zionalmente, nel nostro caso è l’Annunciata e nonl’angelo a trovarsi a sinistra. Questa disposizione co-sì inconsueta credo sia stata dettata dalla volontà dievitare che la Vergine si desse le spalle con l’altroprotagonista del ciclo pittorico, Francesco, che appa-re sulla parete adiacente alla stessa altezza, anch’eglientro una sorta di edicola, ma questo è un punto diprimaria importanza per la concezione dell’interoprogramma su cui si tornerà in seguito.
L’inversione delle figure nell’Annunciazione faanche sì che Maria si venga a trovare dalla parte del-la ‘sua’ parete, vale a dire quella su cui sono raffigu-rate scene in cui essa svolge un ruolo di primo pia-no: il Transito e l’Incoronazione. La seconda (Fig.10), che occupa lo spazio della lunetta si trova in unostato conservativo veramente misero: scarse sono leporzioni superstiti della pellicola pittorica e per granparte anche notevolmente danneggiate. Dai pochiresti comunque si riconosce che l’affresco mostravail Redentore e la Vergine all’interno di un clipeo ret-to da angeli20 e alcuni dettagli sembrano attestareuna stretta dipendenza dal grande mosaico torritia-no dell’abside di Santa Maria Maggiore (Fig. 11). As-sai simili appaiono: il rapporto tra le teste dei dueprotagonisti (Fig. 12), il gesto delle mani della Ver-gine21 e, soprattutto, il gesto con cui il Figlio ponela corona sul capo della madre, così come il tipo stesso della corona di cui, nel dipinto, resta solo lasagoma (Fig. 13). Uguale è anche il testo che apparenel libro tenuto aperto dal Redentore: Veni electa meaet ponam in te thronum meum, parafrasi di un verso delCantico dei canticigià comparsa in ambito romanonel mosaico absidale della chiesa di Santa Maria inTrastevere voluto da Innocenzo II intorno al 1140, dove Maria e il Figlio erano rappresentati seduti afianco su un grande trono (Fig. 14).22 Sia la scelta dell’immagine dell’Incoronazione, sia la sua dedu-zione, nei tratti più determinanti, dal mosaico dellabasilica romana di Santa Maria Maggiore sono ele-menti che si inseriscono perfettamente nel contestodel coro subequano. Oltre alla coincidenza cronolo-gica e culturale,23 va sottolineato il fatto che è proprio a una sensibilità francescana che è stato pos-sibile attribuire la volontà di porre il tema dell’Incoronazione nella nuova abside fatta realizzare nellaprincipale basilica mariana di Roma dal papa Nicco-lò IV.24 Anche il fatto che nel registro sottostante sitrovi la raffigurazione del Transito della Vergine ac-comuna il coro di Castelvecchio ai mosaici di SantaMaria Maggiore,25 ma l’aspetto interessante è che,in questo caso, la scena subequana non appareesemplata sul modello romano. Anche nel Transitola materia pittorica sopravvive solo in minima parte,ma fortunatamente il caso ha voluto che si sianoconservati alcuni dettagli che attestano una varianteiconografica tutt’altro che prevedibile (Fig. 15). Ilmosaico torritiano mostra la scena della Dormitio ingrandi linee secondo il consueto schema bizantino(Fig. 16), con gli apostoli dolenti raccolti intorno alcataletto, altri personaggi sacri e angeli che assisto-no dal cielo e, alla sinistra del Redentore, l’arcangelo Michele con le mani velate che attende la consegnadell’animuladi Maria. Rispetto al modello bizantino,che vediamo rappresentato nella sua forma origina-ria ancora nei mosaici di Santa Maria dell’Ammira-glio a Palermo, alla metà del secolo xii (Fig. 17), ocon alcuni aggiornamenti negli affreschi del mona-stero di Sopoćani, in Serbia, risalenti al 1263-1264(Fig. 18),26 il mosaico del Torriti si discosta per unparticolare importante. Il Figlio infatti non appare inprocinto di consegnare l’animula della madre all’ar-cangelo bensì la tiene abbracciata mentre essa gli ap-poggia la testa sul petto, in un atteggiamento carat-terizzato da una estrema affettuosità (Fig. 19), cheappare in tutta la sua evidenza qualora lo si confron-ti con l’appena citata scena di Sopoćani, o anche conquella nel più vicino ciclo cavalliniano in Santa Ma-ria in Trastevere (Fig. 21).27 La scelta operata nel mosaico di Torriti si spiega a mio parere come allu-sione al dipinto con l’Assunzione di Maria nel corodella basilica superiore di Assisi (Fig. 22).
La scena diAssisi, che è la terza del ciclo di quattro dedicate agliultimi eventi della vita della Vergine, disposto ai latidella cattedra papale, nel registro più basso del poli-gono absidale,28 costituisce un caso a sé stante nel l’iconografia di questo episodio.29 Qui infatti Mariaascende in compagnia del Figlio e le due figure ap-paiono in un atteggiamento di grande reciproco af-fetto per il quale è stato richiamato il verso del Can-tico dei cantici (8,5): «Chi è costei che sale dal deserto,che s’appoggia sopra al suo amato?». Oltre al richia-mo al tema erotico del Cantico, che all’epoca aveva già una storia consolidata nell’ambito delle immagi-ni di Cristo e Maria, spesso intesa come figura dellaChiesa,30 la raffigurazione di Assisi, per l’accentoposto sull’aspetto più esplicitamente carnale del le-game affettivo tra il figlio e la madre è stata interpre-tata come un effetto della concezione francescanache conferiva alla sessualità umana un importanteruolo come metafora per l’amore divino.31 Data lacorrelazione, a cui si è già fatto cenno,32 tra il pro-gramma illustrativo della Basilica Superiore di SanFrancesco e quello del nuovo presbiterio fatto erige-re da Niccolò IV in Santa Maria Maggiore, mi sem-bra dunque del tutto probabile che la singolare posadell’animula, che ‘s’appoggia sopra al suo amato’, ci-ti discretamente, all’interno della Dormitio, la novitàassisiate senza troppo rompere con la tradizione, se-condo una modalità propria all’arte monumentaledi Roma nel Medioevo. Ma di questo tema, che evi-dentemente doveva essere in quegli anni molto à lapage, non c’è traccia a Castelvecchio Subequo. L’ani-muladella Vergine, avvolta in candide fasce, non vie-ne qui accolta dal figlio in un abbraccio, egli la tieneinvece discosta da sé, sollevata con la mano sinistra(Fig. 23), e non per consegnarla all’arcangelo Miche-le, affinché la conduca in Paradiso, poiché nella por-zione di affresco, fortunatamente conservata, che sitrova tra la figuretta dell’anima e le teste degli angelinon c’è traccia di braccia che si protendano ad accoglierla. Inoltre sia negli esempi più arcaici, in cui gliarcangeli discendono dal cielo (Fig. 17), sia in quellipiù vicini cronologicamente in cui Michele si trovaa fianco di Cristo (Fig. 18), quest’ultimo consegnal’animuladella madre con entrambe le mani, gene-ralmente attuando una torsione del busto per nondistogliere lo sguardo dal corpo giacente di lei. Daibrani superstiti si riconosce chiaramente invece che,nel caso in esame, il Salvatore esegue una sorta diostensione della piccola anima, che tiene sollevatacon la mano sinistra quasi all’altezza della propriatesta (Fig. 24), mentre con l’altra mano si rivolgeagli astanti con un gesto che è chiaramente ricono-scibile come quello dell’eloquio (Fig. 25) e che trovauna perfetta corrispondenza, tre le opere di riferi-mento per i murali del coro di Castelvecchio, nell’af-fresco sulla parete della navata della basilica superio-re di Assisi dove sono sintetizzati i giorni dellaCreazione, scanditi, com’è noto, nel libro della Ge-nesi(1,1) dalle parole: «Dio disse» (Fig. 26).Molti dei testi apocrifi che raccontano del Transitodella Vergine riportano che, prima di consegnarel’animula a Michele, il Signore si rivolse a Pietro perdargli indicazioni sul seppellimento del corpo di Ma-ria,33 non c’è dunque nulla di sorprendente nel vederela mano di Cristo raffigurata nell’atto di parlare. Tut-tavia è solo alla luce di un brano che si conserva uni-camente in un discorso attribuito a Giovanni, arcive chiesa di san francesco. le opzioni iconografiche nei cicli pittorici157scovo di Tessalonica, Morte di Nostra Signora sempreVergine Teotoco Maria, che l’immagine nella chiesa diCastelvecchio sembra rivelare un suo senso specifico:in questo testo infatti si dice che san Pietro, colpitodallo splendore dell’anima di Maria, «domandò al Si-gnore: “Chi di noi ha un’anima candida come quelladi Maria?” Il signore gli rispose “Tutte le anime chenascono in questo mondo, Pietro, sono così. Maquando escono dal corpo non splendono di un similecandore, perché un conto è come sono inviate e unconto è come sono trovate: amarono, infatti le tenebre di molti peccati. Ma l’anima di colui che siconserverà immune dalla iniquità delle tenebre diquesto mondo, allorché esce dal corpo avrà lo stesso candore».34 Oltre al grande rilievo dato all’animula,grazie al suo isolamento e al bianco splendente dellesue fasce (Fig. 24) – che sono un dettaglio arcaico ri-spetto ai modelli coevi – anche i resti parziali delle teste dei due dolenti a cui pare diretto il messaggiosembrano pertinenti a una dipendenza dal discorsodell’arcivescovo di Tessalonica. Dai particolari dellecapigliature li si possono infatti riconoscere comeGiovanni, quello più centrale,con i capelli castani ondulati e il nimbo color mattone, e Pietro, con unacalotta di capelli grigi e il nimbo giallo (Fig. 23), e con-siderando che, come spesso accade, l’evangelista po-teva essere intento a contemplare afflitto la morente,si può immaginare che effettivamente Pietro, potesseessere raffigurato in atto di dialogare con il Cristo. Mala singolare domanda di Pietro non ha granché attira-to, a mia conoscenza, l’attenzione dei filologi che sisono occupati di questo e degli altri apocrifi mariani;l’interesse degli studiosi appare infatti focalizzato sul-le affermazioni relative al destino del corpo della Ver-gine contenute nella letteratura apocrifa, data l’enor-me portata teologica della questione, e dunque nonsi trovano punti di riferimento per individuare la pro-venienza di questa concezione dell’innato candoredell’anima da una determinata corrente spirituale oda uno specifico ambiente culturale.35 Tale concezio-ne tuttavia si colloca perfettamente al cuore dell’apo-stolato francescano: preservare la purezza dell’ani-ma, recuperarla nel caso sia stata perduta, impedire lavittoria delle tenebre del peccato, sono appunto gliscopi che spinsero il santo fondatore sul suo cammi-no. E che questa sia stata l’idea fondante del ‘messag-gio’ affidato alla decorazione pittorica del coro dellanuova chiesa dell’Ordine, realizzata a CastelvecchioSubequo, credo possa emergere anche dall’osserva-zione dell’ultima parte delle pitture conservate nelcoro, quelle della parete dedicata a Francesco.Anche quest’ultima parete è divisa in due registri.Nella lunetta superiore, nonostante una amplissimalacuna centrale, si può ancora riconoscere la raffigu-razione del Sogno di Innocenzo III (Fig. 27):36 sulladestra appare la testa del pontefice addormentato ebrani dell’alcova, sulla sinistra la figura parziale diFrancesco, volta di tre quarti verso il papa, e al di so-pra un campanile pericolante della basilica latera-nense e altri frammenti architettonici. Benché la si-tuazione conservativa sia assai problematica anchein questi brani pervenuti, soprattutto per quanto ri-guarda quel che resta della figura del papa (Fig.28),37 si possono ancora registrare alcuni elementiche distinguono la versione del tema iconograficoofferta nell’affresco. In primo luogo la posizione delsanto che doveva apparire accostato con il fianco si-nistro alla facciata della basilica lateranense e con ilbraccio destro alzato ad afferrare una delle torri permeglio sostenere l’edificio. La situazione non è deltutto chiara all’altezza del busto, la testa del santo èandata perduta, ma resta il particolare della manosotto la cornice terminale della torretta che confer-ma la traiettoria del braccio di Francesco (Fig. 29). Sotto questo aspetto la scena di Castelvecchio si di-stingue sia da quella che si considera la versione piùantica di questo soggetto, che compare per la primavolta nel ciclo del Maestro di San Francesco nella ba-silica inferiore di Assisi, sia da quella introdotta daGiotto nelle Storie della basilica superiore, per segui-re una variante che si potrebbe definire intermedia,la quale ha il suo esempio più significativo nel mosai-co sul cavetto di facciata della basilica romana di San-ta Maria in Aracoeli (Fig. 30) e si ritrova anche nellatavola con San Francesco e storie della sua vita attri-buita al pittore senese Guido di Graziano (Fig. 31):opere, entrambe, collocabili negli ultimi decenni delxiiisecolo.39 Per quanto riguarda gli altri elementi si può osservare che il letto del papa non sembra inse-rito in un ambiente architettonico, come all’Aracoe-li, bensì appare collocato sullo sfondo di una cortinaa disegni rossi su fondo giallo e con bordo rosso scu-ro che lateralmente risulta fissata alla cornice verdedell’affresco, mentre nella parte superiore viene in-terrotta dalla lacuna lasciando irrisolto l’interrogati-vo su come tale arredo potesse concludersi (Fig. 27).Altra fonte di dubbio è la presenza dei resti di unamano con le dita piegate, un po’ al di sotto della testadel papa dormiente (Fig. 32), che non sembra possi-bile collegare alla figura dello stesso papa e pertantopotrebbe far ipotizzare la presenza di un altro perso-naggio. Un’eventualità possibile, attestata, in tempivicini, nella predella della tavola giottesca con la Stig-matizzazione conservata al Louvre e in altri esempipiù tardi, anche se va detto comunque che in questicasi, in cui un personaggio, in genere san Pietro, ri-chiama l’attenzione del papa sul sogno, non si trovaun gesto come quello di scostare il mantello o la col-tre che invece sembrerebbe riconoscersi dal fram-mento con le dita piegate che è sopravvissuto qui aCastelvecchio.
Al di là delle incertezze che ostaco-lano la ricostruzione completa dell’impianto icono-grafico della scena, è importante constatare come,anche in questo caso, sia presente una notevole indi-pendenza rispetto ai possibili modelli di riferimento.Per quanto riguarda le ragioni della scelta di raffigu-rare l’episodio del Sogno di Innocenzo nella lunettadella parete dedicata a Francesco, non credo invecepossano esservi perplessità in quanto, come vedre-mo, esso si situa perfettamente nel discorso com-plessivo del coro.Il registro sottostante è formato da due parti dise-guali divise dalla finestra (Fig. 33). Nello spazio a de-stra, il più ampio, restano scarsi brani di quella che,a mio avviso, non poteva essere altro che una raffi-gurazione del Miracolo delle stigmate, sia per la per-tinenza concettuale, sia per la testimonianza di quelpoco che si conserva.41 A sinistra si trova dunque lafigura del santo inginocchiato (Fig. 34), di cui restasolo il torso, pesantemente ridipinto nella zona dellavita. Tra la manica del braccio proteso in avanti e losbuffo del saio sopra il cordone vi è un’area più chiara, con una traccia di colore rosso, che potrebbe es-sere interpretata come la raffigurazione della feritaal costato – fatto che ovviamente toglierebbe ognipossibile incertezza sull’identificazione della scena –ma, anche ad una visione ravvicinata, la situazionenon permette di escludere la possibilità che si trattidi una lacuna, anche se certo la coincidenza del pun-to sarebbe sorprendente. Altri elementi riconoscibilisono la porzione del saio di un altro frate, accoccola-to davanti a Francesco, e le pendici di una montagna.C’è quindi assai poco da argomentare in merito allescelte iconografiche specifiche, soprattutto perchémanca ogni traccia dell’apparizione celeste, le cui va-riazioni nell’aspetto hanno costituito una delle que-stioni maggiormente dibattute relativamente allarappresentazione e all’interpretazione di questo epi-sodio così importante della biografia del santo.42L’unico elemento constatabile è che Francesco è rap-presentato in preghiera con le braccia protese inavanti, dunque in una posizione arcaica (rispetto allaversione giottesca di Assisi) che conta numerose te-stimonianze, soprattutto nelle tavole e nei mano-scritti, tra i quali ricordo il frontespizio del Genesi inuna bibbia della Biblioteca Malatestiana di Cesena(Fig. 35),43 datato tra il 1265 e 1270, e un foglio di an-tifonario in collezione privata a Trieste, della fine delxiiisecolo (Fig. 36).44 In questi esempi non comparealcun compagno, mentre nel nostro caso abbiamoun frammento del saio di un altro frate che va identificato con Leone, colui che si trovava con France-sco sulla Verna e che ha lasciato un ricordo autogra-fo di quanto accaduto.45 Anche questo dettaglio se-gnala una scelta originale; generalmente infatti lafigura del frate accoccolato non si trova nelle raffigu-razioni dell’evento che, come nel nostro caso, pre-sentano il santo con le braccia protese in preghiera,forse anche per le loro ridotte dimensioni.46La più singolare tra le immagini dipinte nel corodi Castelvecchio è però l’ultima da prendere in con-siderazione, quella del santo che si trova campita al-l’interno di un arco sullo stesso registro del Miracolodelle Stigmate, dall’altro lato della finestra (Fig. 37).Talmente singolare da risultare enigmatica, prima ditutto per la mancanza delle stigmate; una mancanzache ha fatto persino porre in dubbio la stessa identi-ficazione della figura con Francesco.47 Ma l’identificazione con il santo dedicatario della chiesa in realtàè fuori di dubbio, mentre sono da decifrare le inten-zioni che possono aver determinato una presenta-zione così inconsueta.Anche un’altra immagine di Francesco, una delleprime e più celebri, quella nella cappella di san Gre-gorio al Sacro Speco di Subiaco, non reca il segnodelle stigmate (Fig. 38). Ma si tratta di un’immagineassai controversa per più di un aspetto: oltre che delle
stigmate, infatti, essa manca anche del nimbo einoltre ha suscitato perplessità la bellezza fisica delpersonaggio ritratto, con occhi e capelli chiari. Tut-tavia le iscrizioni in alto, Frater Franciscus, e sul carti-glio, pax huic domui, dovrebbero in questo caso solle-vare dai dubbi sul personaggio raffigurato, ma c’èchi ha pensato ad un rifacimento dell’immagine pre-cedente di un monaco benedettino.48 La problema-tica sull’identità della figura dipinta al Sacro Speco,comunque, non ha molta importanza per il nostrocaso, perché, oltre al particolare dell’assenza dellestimmate, non ci sono elementi di contatto che pos-sano risultare utili all’analisi. Più interessante appareil confronto con una delle immagini standard di sanFrancesco, quella inaugurata da Bonaventura Berlin-ghieri e riproposta in molte delle tavole firmate daMargheritone d’Arezzo (Fig. 39),49 nella quale il san-to appare stante, con la mano destra aperta davantial petto, mentre la sinistra regge un libro chiuso, econ evidenti i segni delle stigmate sia sulle mani siasui piedi. L’impianto quindi è grosso modo lo stessoma vi sono, a parte quella ovvia delle ferite, differen-ze essenziali che risultano assai significative.50 In pri-mo luogo l’aspetto di Francesco che nelle tavole èquello di un uomo piccolo, con il volto magro, il na-so lungo e sottile, barba e capelli scuri, mentre il san-to dell’affresco è un adolescente, imberbe, con la car-nagione e i capelli chiari.51 Purtroppo una grandelacuna attraversa la figura al centro e quindi non sivede la posizione della mano sinistra (mentre quelladestra mostra il palmo come nelle tavole) calcolandoperò il livello da cui parte la lacuna si può con unacerta sicurezza escludere che la figura tenesse un li-bro. Come anche credo che si possa escludere la pre-senza del cordone, di cui non resta alcuna traccia.Questo è un elemento di grande importanza perchél’assenza del cordone porterebbe a constatare chequi il santo non indossa l’abito francescano, e unaconstatazione di questa portata è difficile basarla sul-l’arbitrario andamento di una lacuna che potrebbeaver obliterato del tutto le tracce del cingolo. Tutta-via c’è un altro dettaglio, veramente singolare, checonduce alla stessa conclusione: lo sporgere di unpolsino bianco dalla manica destra della tonaca, edunque la presenza di una qualche sottoveste o ca-micia, una possibilità assolutamente da escludereper l’abito dei Minori. Questi indizi, unitamente al-l’evidente parallelismo in cui nelle pitture del coro sisono volute porre le figure di Francesco e della Ver-gine annunciata (Fig. 40), invertendo anche la posi-zione di quest’ultima rispetto a quella consueta a de-stra dell’angelo, mi fanno credere che l’immaginedel santo nella nicchia intenda rappresentare il mo-mento della sua chiamata, quando, per usare le pa-role di Francesco nel Testamento, «lo stesso Altissimomi rivelò che dovevo vivere secondo la forma delsanto Vangelo».52 Dal punto di vista biografico sia-mo nel periodo successivo alla rinuncia all’ereditàpaterna, Francesco ha preso l’abito da eremita e sidedica alla riparazione di piccole chiese in rovina ealla Porziuncola, sentendo leggere il brano del van-gelo relativo all’invio degli apostoli, capisce quale èla sua missione allora «si scioglie immediatamentedai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accon-tenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura conuna cordicella. Da quell’istante confeziona per séuna veste che riproduce l’immagine della croce, pertenere lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizie peccati, e talmente povera e grossolana che il mon-do non avrebbe mai potuto desiderarla».53 Tuttavianon penso che con l’immagine di Castelvecchio si siainteso riferirsi in modo specifico all’episodio narratodai biografi, piuttosto direi che si sia voluta creareuna raffigurazione simbolica della vocazione delsanto, una raffigurazione che dovette costruirsi sumolteplici testimonianze che in parte sono giunte fi-no a noi.54Alla luce di un passo della Vita secondadi Tomma-so da Celano, dove il santo risponde al Signore con lestesse parole che all’inizio del vangelo di Luca (1, 38)sono attribuite all’Annunciata: «O Signore … avven-ga a me come hai detto»,55 mi sembra si rinforzi l’im-pressione di un voluto parallelismo tra la Vergine an-nunciata e Francesco, che appaiono entrambi con ilpalmo della mano destra aperto davanti al petto nelgesto dell’accettazione56 (Fig. 40). Nel passo men-zionato si parla dell’annuncio al santo della possibi-lità con la fede di vincere la tentazione, una conqui-sta cruciale per poter poi svolgere opera diredenzione. In un’altra fonte biografica, la Compila-zione di Assisi si parla più esplicitamente di chiamata.In un contesto di grande tensione, nel corso del ca-pitolo delle stuoie, dopo aver ascoltato l’esortazionedel cardinale Ugolino a lasciarsi ogni tanto guidaredai frati dotti che conoscevano le regole di Benedet-to, Agostino e Bernardo, Francesco si rivolge all’as-semblea dei frati con le parole: «Dio mi ha chiamatoper la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via dellasemplicità. … Il Signore mi ha detto che questo eglivoleva che io fossi nel mondo un “novello pazzo”: eil signore non vuole condurci per altra via che quelladi questa scienza» e, nel capitolo successivo, aggiun-ge «noi siamo stati mandati in aiuto del clero per lasalvezza delle anime, in modo da supplire le loro de-ficienze».57Considerando che sulla parete di fronte del corol’anima candida di Maria veniva mostrata con enfasidal Figlio e che, come si è argomentato in preceden-za, una tale accentuazione della figuretta potrebbeessere messa in rapporto con il brano del discorsosulla Morte di Maria di Giovanni di Tessalonica58 incui si afferma che ogni anima avrebbe lo stesso candore se non cadesse vittima delle tenebre del peccato, viene naturale dedurre che il tema dellaconversione delle anime doveva essere il nucleo es-senziale della rete di riferimenti che struttura il ciclopittorico. Per la salvezza degli uomini il Figlio di Diodovette essere crocifisso come viene mostrato nellalunetta della parete di fondo, con la particolare sottolineatura del gesto indicante la croce del perso-naggio con i capelli bianchi, che qui si è proposto diidentificare come Nicodemo.59 La Chiesa, formata in origine dagli apostoli e dalla Vergine, ha avuto ilcompito di portare avanti la missione evangelizzatri-ce, ma non sempre riesce nella sua impresa, comemostra il sogno di Innocenzo III con il Laterano cheminaccia di crollare.60 A Francesco dunque viene af-fidata una nuova missione evangelizzatrice contro ilpeccato, al termine della quale egli riceve il ricono-scimento della visione celeste e delle stigmate. Que-sta mi sembra la trama essenziale delle idee illustratedalle pitture del coro della chiesa subequana. Si tratta di idee fondamentali che si ritrovano in moltidei monumenti francescani, tuttavia ci sono alcuniaspetti che meritano, a mio avviso, di essere messi ulteriormente in evidenza. Uno di questi aspetti èl’indipendenza delle scene mariane rispetto al temaerotico della Sposa-Chiesa, che godeva in quel momento di un particolare favore, come mostrano idipinti del coro della basilica superiore di Assisi e ilmosaico romano di Santa Maria Maggiore (Figg. 19-20),61 opere che, come si è visto, sono per altri versipunti di riferimento per le nostre pitture. Un altroaspetto, più importante forse ma più difficile da pre-cisare anche per le lacune del testo pittorico, è la scel-ta di una raffigurazione del santo così distante daquelle che si erano affermate o che si andavano affer-mando all’epoca. La figuretta imberbe di Francescofa venire in mente quella definizione di parvulus cheegli stesso si attribuisce nel Testamento62 e appare deltutto estranea anche ad un altro tema di grandissimoseguito, quello dell’alter Christus;63 qui piuttosto,Francesco appare come pendantdella Vergine, matutto ciò non può che restare allo stato di impressio-ne perché la perdita quasi totale delle altre due figuredel santo – nella scena del Sogno e in quella delleStigmate – non consente ulteriori speculazioni. Vaperò ribadito che, nonostante il loro misero stato diconservazione, gli affreschi del coro hanno conser-vato dei dettagli di grande importanza, che permet-tono di arricchire, ma soprattutto contribuiscono adifferenziare il panorama della produzione pittoricadedicata al fondatore dell’Ordine dei Minori nel pri-mo secolo dalla sua canonizzazione, che negli studiè forse stata vittima di letture ideologiche troppo totalizzanti.64La tappa successiva della decorazione pittoricadella chiesa riguardò la navata centrale, dove vennearticolata in modo illusivo la zona superiore delle pa-reti con una sequenza di archetti trilobi, contenentibusti di santi e angeli, sostenuti da un basamento aplinti cromaticamente alternati. I frammenti di pit-tura, recuperati nei restauri condotti nel 1973, si tro-vano nella zona di muro al di sopra della seconda edella terza arcata sulla destra ma è ovvio presumeredalla stessa natura del sistema decorativo che esso siestendesse per tutta la lunghezza di entrambe le pa-reti della navata (Fig. 41). Ragioni stilistiche attesta-no che sono al lavoro artefici diversi da quelli attivinel coro, ma la cultura figurativa non è molto lonta-na e anche la cronologia si deve porre non oltre il ter-mine degli anni novanta.65 Per quello che riguarda iltratto sicuramente più rilevante di queste pitture, illoro complesso e per certi aspetti singolare illusioni-smo architettonico, esse si situano comunque nelcontesto delle esperienze più aggiornate del mo-mento, come l’articolazione assai elaborata tra pittu-ra e architettura del transetto e coro della basilica su-periore di Assisi o quella introdotta nella navata dellachiesa romana di Santa Cecilia in Trastevere al tem-po dei lavori condotti da Pietro Cavallini e Arnolfo diCambio, intorno al 129366 (Fig. 42). I pittori della na-vata di Castelvecchio, comunque, si dimostrano deltutto autonomi e sono in grado di elaborare un siste-ma prospettico adatto ad assolvere il compito speci-fico che si poneva loro, quello di strutturare e darevolume alla porzione di parete tra l’attacco del tettoligneo e le arcate, guidando l’osservatore verso il coro (Fig. 43).67Anche per quanto riguarda la scelta degli ospiti diquesto loggiato pensile, la scarsa entità della porzio-ne di affresco recuperata non impedisce di intuire lapresenza di un’idea originale. Dai brani che oggi ab-biamo a disposizione si può dedurre con facilità che
le arcatelle erano occupate alternativamente da angeli e santi e che questi ultimi, ma qui la fram-mentarietà del ciclo consiglia di restare nell’ipoteti-co, si susseguissero alternando un rappresentantedell’ordine monastico e uno dell’ordine sacerdotale,tutti recanti in mano un libro (Figg. 44-45). Secon-do la direzione suggerita dall’impianto prospettico, il primo santo che si incontra è san Leonardo, comeattestano sia l’iscrizione sottostante sia l’attributo della catena che allude alla sua attività in favore deiprigionieri ingiustamente detenuti (Fig. 46). Egli rifiutò la carica di vescovo, offertagli dal re di Fran-cia Clodoveo e visse come eremita, fondando ancheun monastero senza che sia nota la sua appartenen-za a un determinato ordine. Qui è raffigurato comemonaco con una tonaca marrone. Segue, oltre l’angelo, san Martino, in abiti vescovili (Fig. 47)identificabile con certezza grazie alla didascalia.68 Ilsanto successivo, in abito monastico, può essereidentificato grazie alla lettura della lacunosa iscri-zione come san Vincenzo (Fig. 48).69 La scelta diraffigurare il martire paleocristiano non nelle sueconsuete vesti di diacono ma in quelle monasticherisulta rivelatrice di una volontà programmaticanell’accostare rappresentanti di stati religiosi diver-si, probabilmente in questo caso la giustificazionepoté essere fornita dalla non lontana presenza dellagrande abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno. Il santo che gli corrisponde, dall’altro latodell’angelo, è san Lorenzo, nelle vesti di diaconoche gli sono proprie (Fig. 49), ma con un errore nell’iscrizione che antepone una s al nome au…en-tius, forse per un’iniziale confusione con l’altroprotomartire diacono per eccellenza, Stefano, che èassai probabile fosse già stato raffigurato altrove nelciclo.70 L’esiguità di quanto conservato permette,come già detto, solo di intuire il senso di questo fregio di santi che conduceva verso il coro, anche sealla luce di ciò che sappiamo delle intenzioni delsanto fondatore questa intuizione prende un carat-tere piuttosto concreto. Particolarmente significati-vo in proposito mi sembra il fatto che tutti i santiche restano recano in mano il libro, e facilmente, vi-sto che sono in sequenza, si può supporre che tuttilo avessero: è quindi celebrata la loro missione come testimoni del vangelo, esattamente quellamissione che Francesco sentì di dover rinnovare conil suo operato. Lo stesso tema che viene illustratonel coro, al quale appunto indirizza il sistema pro-spettico della navata.Circa un secolo dopo la chiesa francescana di Ca-stelvecchio Subequo ebbe infine un vero e propriociclo pittorico dedicato alla vita del santo assisiate, che si svolge sulle pareti della cappella fatta realizza-re dai conti di Celano alla fine del Trecento al postodel braccio destro del transetto (Fig. 50).71 La docu-mentazione relativa non è reperibile in forma origi-naria ed è tramandata in modo alquanto confuso:72in particolare dovette essere il conte Ruggero II a finanziare i lavori della cappella, nella quale poi, co-me ricorda Febonio nelle Historiae Marsorum, ebbesepoltura. Una iscrizione ancora in parte leggibilesotto la finestra della parete di fronte all’ingresso 172 francesca pomarici(Fig. 5) riporta l’indizione iii che attesta, nei decenniinteressati, una datazione della presumibile fine deilavori o all’anno 1380 o al 1395:73 due date a cavallodella morte di Ruggero che avvenne nel 1387 nel vicino castello di Gagliano Aterno.74 Secondo noti-zie raccolte da Agapito Tesone, e riportate dal padreNicola Petrone, il conte avrebbe dato l’incarico perl’impresa nel 1279;75 risulta dunque difficile immagi-nare che la decorazione dipinta possa essere stataportata a compimento l’anno successivo e ci si può ragionevolmente orientare per una datazione del ciclo agli inizi degli anni novanta.76Si tratta di una vasta decorazione pittorica che ri-vestiva interamente la volta, le tre pareti e il sottarcod’ingresso alla cappella e che fu gravemente danneg-giata dalle modifiche apportate all’ambiente per ilriassetto della chiesa effettuato alla metà del Seicen-to, in quanto tale riassetto comportò l’apertura di unarco nella parete adiacente alla navata laterale, e didue finestre, una circolare in alto e una quadrata alposto dell’originaria monofora, nella parete di fondo, nonché la messa in opera di un enorme altarebarocco sulla parete verso il coro della chiesa.77 Il re-stauro intrapreso nel 1973 non ha potuto ovviamentesanare le mutilazioni, però fondamentali sono statela rimozione dell’altare, ora collocato nella cappelladi Sant’Antonio, e di ogni altro rivestimento baroccoe la pulitura della superficie pittorica superstite cheha recuperato il suo splendore78 (Figg. 51-53). Gli af-freschi raffigurano: nella volta, i simboli degli evan-gelisti Marco Luca e Giovanni e l’evangelista Matteo,entro medaglioni quadrilobati (Fig. 54); nel sottarco,quattro profeti a figura intera, molto danneggiati,tra cui si possono riconoscere, per la corona e gli sti-vali, Davide e Salomone (Figg. 55-56), e sulle pareti,un ampio ciclo della vita di San Francesco composto
originariamente di 28 scene, di cui oggi se ne ricono-scono ancora 19, alcune solo grazie a dei frammenti.Il ciclo si svolge, dall’alto verso il basso, su quattroregistri (il primo costituito dalle lunette) che corro-no lungo le tre pareti partendo da quella adiacente alcoro, dove è collocato l’altare. La narrazione iniziacon una scena, che potrebbe essere definita come il‘dono del mantello’ (Fig. 57) ma che presenta ele-menti che vanno ben oltre questa definizione, suiquali si tornerà in seguito, e prosegue, nella lunettasuccessiva, con una raffigurazione quasi completa-mente distrutta dall’apertura seicentesca dell’oculoma che, grazie ai frammenti rimasti e all’iscrizione(Fig. 59), si può con certezza identificare con un epi-sodio narrato nel primo capitolo della Legenda Majordi Bonaventura in cui si racconta di come Cristo Ge-sù era apparso «come uno confitto in croce» a Fran-cesco mentre pregava isolato dal mondo.79 I pochiresti fanno vedere, a sinistra, le rocce del luogo soli-tario dove si trovava il giovane e i suoi piedi, con lescarpe scure, e, a destra, un lembo di nubi e parte diuna figura distesa (probabilmente un angelo) che do-vevano accompagnare l’apparizione. Sulla lunettasuccessiva trova posto un’altra scena, tratta dallefonti con una certa licenza, che raffigura la liberazio-ne del santo da parte della madre (Fig. 60).Il registro sottostante inizia con la raffigurazionealquanto rara dell’aggressione da parte dei cittadinidi Assisi a Francesco quando si era deciso a tornarein città dopo essere stato nascosto alcuni giorni (Fig.61),80 e prosegue con la Rinuncia ai beni (Fig. 63) epoi con una scena che sintetizza i primi quattro pa-ragrafi del iii capitolo della Legendamostrando la ve-stizione degli ultimi compagni del primo gruppo disette. Il luogo è la Porziuncola, si vede il santo chemette la tonaca a un nuovo adepto mentre uno deiprimi compagni porge il cordone per fermarla; a de-stra gli ultimi tre compagni si stanno togliendo i loroabiti secolari (Fig. 64).81 Il ciclo procede poi sulla pa-rete successiva con un altro episodio ambientato allaPorziuncola, questa volta esplicitamente caratteriz-zata dallo svolazzare degli angeli (Fig. 65);82 si trattaprobabilmente dell’invio dei frati a due a due per ilmondo, oppure dell’episodio immediatamente suc-cessivo in cui gli otto si ritrovano di nuovo insiemeper intervento divino;83 seguono una scena che puòessere identificata come la dettatura della regola(Fig. 66) e il sogno di Innocenzo III (Fig. 69). Sullaparete adiacente, quella danneggiata dall’aperturadell’arco seicentesco, sono conservati in parte i dueriquadri laterali: a sinistra troviamo la presentazionedella regola a Innocenzo III (Fig. 70) e a destra duefigure di angeli musicanti che costituiscono il restodella raffigurazione di un episodio avvenuto verso lafine della vita di san Francesco quando degli angeligiunsero una notte a confortarlo con le loro melodie(Fig. 72).84 A togliere ogni dubbio su tale identifica178 francesca pomaricizione è il confronto con l’illustrazione di questo pas-so in un manoscritto miniato della Legenda Major, diqualche decennio precedente, che si conserva all’Ar-chivo Ibero-Americano a Madrid (Fig. 73).85Passando al registro sottostante abbiamo all’ini-zio un riquadro quasi interamente perduto in cui so-no state riconosciute le tracce dell’apparizione al Capitolo di Arles (Fig. 74);86 seguono la Visione delcarro di fuoco (Fig. 75) e un’altra scena quasi com-pletamente perduta (Fig. 76) di cui colpisce la stret-tissima corrispondenza della posizione dei piedi deipersonaggi sulla sinistra – che, eventualità assai raranei cicli francescani, sono dei laici – con la raffigura-zione del Presepe di Greccio nella basilica superioredi Assisi (Fig. 77). I resti della figura accovacciata,che dovrebbe essere quella di Francesco con il Bam-bino, non sembrano però adattarsi a questa ipotesi,perché si riconosce che il personaggio porta il saio,mentre solitamente in questa scena il santo indossauna tunica da diacono, un dettaglio non specificatonella Legenda major ma che compare nella Vita Primadi Tommaso da Celano,87 e inoltre le figure poggiano su un terreno roccioso e non, come dovrebbe es-sere, su un pavimento di chiesa. Per quest’ultimoaspetto però va tenuto presente che, tra le testimo-nianze confrontabili note, esiste comunque un’ecce-zione, costituita da una iniziale istoriata nella Legen-da major contenuta nel manoscritto V. E. 411 dellaBiblioteca nazionale centrale di Roma, datato alla seconda metà del Trecento, che racchiude una versiobrevis della scena del Presepe di Greccio ambientataall’aperto (Fig. 78); va aggiunto inoltre che, nella miniatura relativa a questo episodio del ciclo france-scano nello Speculum humanae salvationis della Corsiniana, il santo, inequivocabilmente riconoscibile dalle stigmate, compare due volte: a sinistra, vestitoda diacono, mentre canta il vangelo e, a destra, conil suo abito consueto accanto alla mangiatoia con ilBambino (Fig. 79).88 L’ambientazione all’aperto e ilsaio non sono dunque ostacoli insormontabili peruna identificazione di questa scena con l’episodio delpresepe di Greccio, tuttavia va considerato ancorache la posizione del piede che spunta dall’orlo del sa-io non sembra adattarsi a una figura presumibilmen-te inginocchiata come dovrebbe essere quella delsanto accanto alla mangiatoia e dunque la questioneper me resta in sospeso anche perché l’identificazio-ne a suo tempo proposta da Del Re con l’episodiodella tentazione del diavolo tramite la borsa da cuiuscirà il serpente (Legenda major, vii, 5), che avrebbeanche il vantaggio di precedere nel racconto bona-venturiano quella che segue anche in questo ciclo –l’Incontro con le tre donne – è resa improbabile dalfatto che le figure di laici che assistono sono chiara-mente almeno due, mentre nel racconto se ne nomi-na solo una, quella di un ragazzo, che peraltro solitamente non viene neanche inserita nelle illustrazioni dell’episodio.89 Sulla parete seguente sono raf-figurati solo due episodi, perché al centro si trova lafinestra: l’incontro con le tre donne simboleggiantile virtù di castità, obbedienza e povertà (Fig. 80) e laProva del fuoco davanti al sultano (Fig. 81). Dellepitture sulla parete adiacente sono rimasti solo frammenti ai lati. Quello a sinistra (Fig. 82) dove si vedo-no Francesco e un altro frate che guardano verso l’al-to e il lembo della chioma di un albero, è stato iden-tificato generalmente come il resto di una Predicaagli uccelli,90 ma, a guardare bene, questa soluzionenon è poi così scontata perché solitamente nelle im-magini della Predica agli uccelli, che è uno fra gli epi-sodi della vita di san Francesco maggiormente raffi-gurati, il santo rivolge lo sguardo verso il basso,diversamente da quello che appare nel nostro fram-mento; inoltre anche l’espressione di stupore delcompagno non trova riscontro nelle riproduzionidella Predica agli uccelli.91 In alternativa si potrebbepensare alla raffigurazione della visione dell’albero(L.m.iii, 9) che viene a volte resa con l’albero che sipiega verso il santo (Fig. 83) oppure alla Cacciata deidemoni da Arezzo (Celano ii, lxxiv; L.m. vi, 9) im-maginando la perdita totale del frate che compie ma-terialmente l’esorcismo (Fig. 84).92 Il frammento adestra (Fig. 85), per la presenza del gruppo di laici e 184 francesca pomaricidel brano architettonico al margine esterno dellascena, potrebbe essere identificato, ancora una voltagrazie a un confronto con la relativa miniatura delcodice di Madrid (Fig. 86), come il residuo di una raf-figurazione del passaggio del Santo per Borgo SanSepolcro. Nel registro inferiore, ripartendo dalla paretedell’altare, troviamo all’inizio l’Estasi di san France-sco che, nel rapimento della preghiera si solleva daterra (Fig. 87);94 poi la Crocifissione con Maria eGiovanni e con il santo inginocchiato ai piedi dellacroce (unica immagine tra quelle presenti nel ciclo,oltre al clipeo dello zoccolo, in cui egli appare con lestigmate) (Fig. 89), e accanto a destra la Benedizioneai frati da parte di Francesco morente (Fig. 90). Se-guono, sulla parete della finestra, i Funerali del santo(Fig. 91) e la visione di frate Agostino in punto dimorte (Fig. 96). I due frammenti alle estremità dellaparete successiva, con cui il ciclo si conclude, sono diassai scarsa entità per cui è estremamente difficile fare ipotesi in merito a cosa vi fosse raffigurato; nelprimo (Fig. 97) si scorge un angelo che regge undrappo in parte ricadente su una figura che sembre-rebbe indossare un saio e che benedice con una ma-no guantata di bianco, in cui D’Alberto propone diriconoscere il santo vescovo Ludovico da Tolosa;95nell’altro (Fig. 98) si vede solo un brano di edificiocivile.96 Infine, sullo zoccolo trovano posto gli scudiche con ogni verosimiglianza dovevano in originemostrare lo stemma dei conti di Celano, intervallati da clipei con busti di santi, tra i quali si riconosconochiaramente Domenico e Francesco (Figg. 99-100),un altro santo francescano, probabilmente Antonio(Fig. 101), e santa Caterina di Alessandria (Fig. 102).Dal punto di vista iconografico sono molti i que-siti che sorgono dall’analisi di questo ciclo e non so-lo per la presenza di scene frammentarie di difficileinterpretazione, o per la perdita totale di altre. An-che le immagini pervenute integralmente sollecita-no ulteriori indagini in quanto fanno registrare unaserie di opzioni tutt’altro che scontate. In primoluogo va riconosciuto che non vi è un unico puntofocale nell’impaginazione del ciclo. Il fulcro dellanarrazione è ovviamente costituito dalla Crocifis-sione che funge da pala d’altare (Fig. 51), ma un al-tro polo di attrazione è costituito dall’asse della fine-stra verso cui convergono le mezze figure di santidei tre lati, tutte poste di tre quarti e tutte rivolteverso lo scudo sormontato dall’iscrizione mutila incui si legge «fuit in die dominico mensis decembris 188 francesca pomariciiii indictione» (Fig. 103). Non si tratta, come già si èdetto, della data di morte del conte Ruggero, bensìcon ogni probabilità della data della sua traslazionenella cappella dopo il completamento della decora-zione. Questa è dunque l’area deputata a ricordarela committenza nella funzione sepolcrale del pro-getto, ottimamente celebrata dalle due scene che inquadrano l’iscrizione, con i funerali di Francesco eil trapasso di frate Agostino. Per il resto, a parte la presenza dei due re profeti, quella della santa regaleCaterina d’Alessandria, e quella già sottolineata de-gli stemmi (tutti elementi che ricorrono abitual-mente) non mi sembra che ci siano altre tracce di te-matiche di carattere feudale o cortese che possanorimandare all’ambiente aristocratico dei conti. Untale quadro del resto concorda con quanto asseritoda Dieter Blume in conclusione del suo studio suiprogrammi figurativi nelle chiese francescane. Aproposito dei laici che in chiese dell’Ordine dei Mi-nori commissionavano la decorazione di cappelle,destinate per lo più ad avere una funzione sepolcra-le, egli osserva infatti che il loro ruolo generalmentesi dovette limitare alla fornitura del finanziamento eche, a parte la presenza degli stemmi, non si regi-strano interventi da parte di questi committenti nel-le scelte figurative: era l’Ordine a decidere cosa an-dava raffigurato, in base a un programma standardcon funzioni propagandistiche.97Nella cappella dei conti di Celano però questoprogramma standard non si trova. Il fatto in realtànon sorprende poiché, alla fine del Trecento, aveva-no ormai cominciato da tempo ad ottenere spazio al-tre visioni delle cose anche negli ambienti minoriticinon decisamente radicali. Il problema però è cercaredi capire, tenendo anche conto delle ampie lacune,quali possano essere state le intenzioni che dettaro-no le scelte iconografiche poste in essere in questociclo e se queste intenzioni possano rivelare qualcosasul contesto culturale e spirituale in cui le pitture fu-rono concepite, contesto sul quale non si possiede al-cuna indicazione.La decorazione delle lunette ci porta subito lonta-no da una posizione standard. Nella prima (Fig. 57)si trova una composizione che con tutta evidenza siriferisce allo spirito di compassione che a un certopunto esplose nell’animo del giovane mercante. Tut-tavia, invece della riproposizione di uno dei singoliepisodi che erano già stati codificati nella tradizioneiconografica riguardo a questa importante tematica,qui appare una sorta di quadro vivente, dove, comeattori in posa sopra una pedana rettangolare, sonoposti diversi esempi di derelitti che si avvicinano aFrancesco, il quale, al centro, è in atto di consegnareil suo mantello a uno di loro, in cui va riconosciuto,con ogni probabilità, il cavaliere povero di cui parlaBonaventura (L. m., i, 2). Un elemento di grande interesse è la presenza seminascosta, tra la testa diquest’ultimo e quella del santo, di un uomo seminu-do, con la faccia pallida e gli occhi gonfi, in cui credosi possa riconoscere la raffigurazione ‘discreta’ di unlebbroso. La vicinanza delle labbra di costui al visodel giovane (Fig. 58) fa correre la mente al cruciale
bacio che determinò in modo decisivo la scelta di vi-ta di Francesco, come ricorda Tommaso da Celanonella Vita prima: «mentre era ancora mondano, ungiorno incontrò un lebbroso: fece violenza a se stes-so, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decisedi disprezzarsi sempre più, finché per la misericordiadel Redentore ottenne piena vittoria».98 È noto che,nonostante la chiara affermazione in apertura delTestamento, la ‘questione dei lebbrosi’ fu uno deipunti critici della tradizione agiografica e iconogra-fica del santo,99 qui il dato estremamente significati-vo mi sembra essere l’intento di stemperare la vio-lenza dell’argomento all’interno di una scena dal to-no quasi quotidiano che illustra diverse attività cari-tatevoli consuete nella società del tempo. In tal mo-do si poteva ricordare senza ostentazione il carattereestremo della scelta del santo e nel contempo cele-brare i modelli di carità a cui tutti possono unifor-marsi. Nella lunetta seguente invece si trovava, co-me si è detto, l’illustrazione letterale di un passo diBonaventura, contenuto sempre nel primo capitolodella Legenda (Fig. 59). Si tratta però anche in questocaso di una scelta non consueta perché tra le appari-zioni avute dal santo quando era ancora secolare, nei cicli figurati è stata sempre privilegiata quella avutanella chiesa di San Damiano.100 La differenza è note-vole perché appare preferito un episodio che testi-monia di una privata esperienza spirituale rispetto adun altro che, con la celebre frase: «va’ e ripara la miacasa che, come vedi, è tutta in rovina», mette in cam-po un aspetto più politico e ideologico della santitàdel fondatore dell’Ordine. Con la terza lunetta siamodi nuovo al cospetto di una specie di fotomontaggio(Fig. 60): al centro Francesco appare dietro le sbarredel carcere dove era stato rinchiuso dal padre; fuoridalla porta c’è la madre che è arrivata a liberarlo condelle compagne, mentre dall’altra parte della prigio-ne si trova il padre con i suoi soci in affari.101 È uncontrosenso, perché fu proprio grazie all’assenza delpadre che ella aveva avuto la possibilità di liberare ilfiglio. Dunque la scena mette insieme due luoghi di-versi, uno in cui agisce la madre e un altro, lontano,in cui il padre è occupato nella sua attività. Il risultatoè un arguto quadretto sulla differenza tra uomini edonne che potrebbe servire ai moderni studi di ge-nere e questa impressione mi sembra rafforzata dalfatto che nel gruppo delle donne sono chiaramenterappresentati i tre stati della vita femminile: la sposa(la madre di Francesco), con la testa coperta ma il ve-stito scollato; la vedova, con testa e collo coperti, e lavergine, con testa e collo scoperti.102Lo stesso clima si ritrova nella scena che segue conil santo aggredito dai suoi concittadini (Fig. 61); sce-na rara, sia perché del tutto eccezionale al di fuoridei cicli miniati, sia per il modo in cui è realizzata:Francesco – che sembrava impazzito ai suoi concit-tadini – viene bloccato da una sorta di ronda compo-sta di uomini robusti armati di bastone; questo vaben al di là di quello che dicono le fonti, le quali par-lano solo di pietre e fango cioè di materiale raccoltola per là e non di un agguato vero e proprio come ap-pare invece a Castelvecchio;103 la differenza è eviden-te da un confronto con la miniatura corrispondentenel già citato codice di Madrid (Fig. 62). Nel mano-scritto la vignetta sottostante mostra il padre che so-praggiunge, non per difendere il figlio bensì per ri-chiuderlo.104 Questo episodio, infatti, nel raccontoprecede la segregazione di Francesco da parte del pa-dre, e dunque nel ciclo pittorico di Castelvecchio ledue scene sono state invertite con l’intenzione evi-dente, a mio avviso, di fornire nelle lunette una seriedi quadri sintetici del contesto: da un lato il mondodei derelitti e degli emarginati, dall’altro i borghesidediti a opere di bene ma anche agli affari; a mediare,Francesco che attinge la sua determinazione dal con-tatto intimo con il Cristo crocifisso. Nella maggiorparte degli studi dedicati a questo ciclo, però, la sce-na in questione è stata considerata come illustrazio-ne di un altro episodio narrato nelle vite, quello incui il santo viene aggredito da alcuni briganti in unaselva mentre passeggia cantando le lodi di Dio infrancese.105 Ma tale episodio cade dopo la rinuncia aibeni e Francesco quindi non dovrebbe più essere ve-stito elegantemente ma con ‘panni cenciosi’, comedice Tommaso da Celano, inoltre i nostri aggressorinon sembrano proprio dei briganti. Tuttavia non èsolo per quest’ordine di motivi che credo vada rico-nosciuta nella scena l’aggressione da parte dei con-cittadini, bensì anche per una ragione direi più inte-ressante. Nel capitolo ii dei Fioretti questo episodioviene citato a proposito della conversione del primocompagno di Francesco, Bernardo di Quintavalle. Iltesto così racconta: «essendo Francesco ancora inabito secolare, benché già esso avesse disprezzato ilmondo, e andando tutto dispetto e mortificato per lapenitenza, intanto che da molti era reputato stolto,e come pazzo era schernito e scacciato con pietre econ fastidio fangoso dalli parenti e dalli strani, ed egli
in ogni ingiuria e ischerno passandosi paziente comesordo e muto; messere Bernardo d’Ascesi, il qualeera de’ più nobili e de’ più ricchi e de’ più savi dellacittà, cominciò a considerare saviamente in santoFrancesco il così eccessivo dispregio del mondo, lagrande pazienza nelle ingiurie, che già per due annicosì abominato e disprezzato da ogni persona sem-pre parea più costante e paziente, cominciò a pensa-re e a dire tra sé medesimo: “Per nessuno modo puo-te che questo Francesco non abbia grande grazia daDio”. E sì lo invitò la sera a cena e albergo; e santoFrancesco accettò e cenò la sera con lui e albergò».106Anche in questo caso quindi si tratta di una cronacadi vita cittadina, ci sono i più ottusi e violenti, parentied estranei, che si scagliano contro il santo perchénon tollerano la sua diversità, mentre altri osservanoe fanno le proprie considerazioni. L’atmosfera dellascena seguente, la rinuncia ai beni (Fig. 63), è permolti aspetti analoga, Francesco ha però ora trovatorifugio sotto al piviale del vescovo. Nelle scene suc-cessive ormai il dato è tratto: la nuova comunitàprende vita; ben tre scene in sequenza presentano ilsanto con i suoi primi sette compagni. Le prime duesono ambientate alla Porziuncola, dove, come affer-ma Bonaventura, ebbe inizio l’Ordine dei frati mino-ri, e nella seconda si ha cura di inserire dei particolariche, in conformità al racconto della Legenda major(ii,8), identificano esplicitamente questa chiesa: i qua-drilobi con l’Annunciazione, che devono alludere al-la dedica mariana, e «le frequenti apparizioni di an-geli».107 Per quanto riguarda il primo riquadro (Fig.64), è chiaro che si riferisce alla vestizione dei nuovifrati e non corrisponde ad un passo specifico dellebiografie ma allude nel complesso alla formazionedel primo gruppo di otto.108 La scena seguente (Fig.65) si deve riferire al momento successivo in cui Fran-cesco convoca i suoi frati per inviarli ad annunciarela pace e predicare la penitenza (L. m., iii, 7). L’episo-dio successivo è ambientato all’aperto, su montagneverdeggianti (Fig. 66): Francesco e i suoi sono ingi-nocchiati ed ascoltano le parole di un angelo sospesonel cielo, uno dei compagni scrive su una pergame-na. La raffigurazione deve riferirsi alla prima ‘formu-la di vita’ che il santo volle scrivere quando si reseconto del crescere dei seguaci e che subito vorrà sot-toporre alla Sede apostolica (L. m., iii, 8). Si tratta diuna scena che non ha una sua tradizione iconografi-ca, tanto che si può restare in dubbio sulla sua inter-pretazione.109 Di particolare interesse è il confrontocon l’illustrazione corrispondente, a mio avviso, del-la Legenda di Madrid, dove si trovano solo Francesco,seduto su un banco intento a scrivere, e l’angelo cheplana verso di lui in un modo assai simile a quellodell’affresco, benché i gesti siano diversi (Figg. 66-67). A Castelvecchio dunque, rispetto al modello co-stituito da una miniatura analoga a quella citata, so-no stati aggiunti i compagni e tutta la scena è statatrasportata in montagna; per quanto riguarda il se-condo punto se ne potrebbe dedurre l’intenzione dialludere anche alla seguente vera e propria dettaturadelle Regola, che ebbe luogo dopo la visione del-l’ostia formata di briciole (L. m., iv, 11), ma anche inquesto caso il numero dei compagni risulta eccessi-vo, il testo di Bonaventura parla esplicitamente didue compagni e tanti ne compaiono infatti nella mi-niatura corrispondente di Madrid (Fig. 68). L’inser-zione della comunità dei primi compagni110 deve es-sere stata voluta, per così dire, in sé per sé, e questocertamente è un segnale da considerare con atten-zione per tratteggiare l’ambiente sprirituale e cultu-rale che ha concepito la decorazione pittorica dellacappella.Il ciclo continua con il Sogno di Innocenzo iii(Fig. 69) raffigurato in un modo che non suscita par-ticolari perplessità. Si può solo notare che la compo-sizione si presenta invertita rispetto all’uso corrente,fatto che potrebbe essere dovuto a ragioni composi-tive, perché la linea obliqua del santo che sorreggela chiesa si armonizza molto meglio con la curvadella parete e inoltre così si è venuto a creare un gradevole pendanttra le due scene laterali del registro(Fig. 52). Segue, sulla parete contigua, una raffigu-razione frammentaria in cui si può però chiaramen-te riconoscere un altro episodio non presente abi-tualmente (Fig. 70). Invece della Conferma dellaRegola che ci si dovrebbe aspettare a questo puntosi trova rappresentato il momento precedente,quando, secondo il racconto di Bonaventura (L. m.,iii, 10), il poverello si era presentato una prima voltaal cospetto del sommo pontefice per chiedere l’ap-provazione della regola di vita che aveva presentatoe gli era stato risposto che ad alcuni cardinali essaera apparsa troppo strana e troppo aspra per uomininormali, ma in favore del santo era intervenuto ilcardinale Giovanni di San Paolo dicendo: «Questopovero, in realtà ci chiede soltanto che gli venga ap-provata una forma di vita evangelica. Se dunque re-spingiamo la sua richiesta, come troppo difficile estrana, stiamo attenti che non ci capiti di fare ingiu-ria al vangelo».111 Il brano pittorico illustra molto fe-delmente il brano di Bonaventura si vede chiara-mente il testo della regola arrotolato in mano a unodei cardinali che l’avevano trovata «strana e aspra» eil gesto protettivo del cardinale di San Paolo che in-tercede perché la richiesta venga approvata.112 Ri-spetto alla scena corrispondente nel manoscritto diMadrid, l’unico tra quelli di mia conoscenza che pre-senta questo momento (Fig. 71), colpisce, nella sce-na di Castelvecchio, l’inserimento di un altro frate,con ogni probabilità Bernardo di Quintavalle, il pri-mo seguace, in deroga anche al testo di Bonaventurae questo va di nuovo nel senso di quanto osservatoprima a proposito della scrittura della Regola. È unaparticolare disdetta che l’apertura dell’arco verso lanavata della chiesa abbia distrutto irrimediabilmen-te il successivo riquadro, poiché con quello ancoraseguente ci troviamo nuovamente di fronte a un epi-sodio assai raro (al di fuori dei manoscritti miniati)e molto distante cronologicamente da tutto ciò cheprecede; siamo infatti all’ultimo anno della vita delsanto, già nel pieno della sua passione: egli ha subitoda poco una tremenda operazione agli occhi e giacesofferente, nel corpo e nello spirito, il Signore trami-te le melodie eseguite dagli angeli gli offre il confor-to che egli ha inutilmente chiesto ai suoi fratelli(Figg. 72-73). In questo registro dunque la storia cheera cominciata con l’aggressione da parte dei concit-tadini si conclude nel dolore e nell’abbandono daparte degli uomini, ma con il conforto di Dio.113 Sa-rebbe stato di primaria importanza pertanto potervalutare l’episodio che faceva da tramite tra l’incon-tro del santo con il papa e i cardinali e il concerto an-gelico, ma non mi sembra reperibile al momento al-cun indizio in merito. Quello che si può osservare èche il registro è tutto dedicato alle esperienze intimedel fondatore e dei suoi primi compagni, al convin-cimento circa la propria missione e alla dolcezza disapere che Dio può consolare nelle tribolazioni.Il registro mediano sembrerebbe riguardare inve-ce la vita pubblica, vale a dire la predicazione e la celebrazione delle azioni e delle virtù del santo, anchese la situazione estremamente lacunosa non permet-te l’approfondimento che sarebbe necessario. Le sce-ne di identificazione certa sono in realtà solo tre: laVisione del carro di fuoco, l’Incontro con le personi-ficazioni delle virtù di Castità, Obbedienza e Povertàe la Predica davanti al sultano; per quanto riguardale altre, la situazione resta molto controversa, comesi è mostrato in precedenza.Maggiori elementi da valutare li offre invece dinuovo il registro inferiore. Qui abbiamo notato giàall’inizio la presenza di due poli: da una parte la me-moria del defunto, dall’altra l’altare con la Crocifis-sione. Anche in questa zona una variazione rispettoal modello assisiate risulta particolarmente pre-gnante: nel riquadro a sinistra, l’immagine dell’esta-si di San Francesco durante la preghiera non seguel’esempio giottesco, né per quanto riguarda la com-posizione, né per quanto riguarda la collocazione(Figg. 87-88).114 Di primo acchito si sarebbe tentatidi riconoscere nelle scelte operate a Castelvecchio –la posizione del santo, il monticello e la contiguitàcon la Crocefissione – la volontà di creare un’analo-gia con l’Orazione nell’orto, dato che ci troviamonegli anni in cui Bartolomeo da Pisa poneva termi-ne alDe conformitate, opera monumentale dedicataal tema, peraltro fondamentale sin dagli esordi, delparallelismo tra Francesco e Cristo.115 Tuttavia aben vedere non credo che sia questa la strada piùgiusta da percorrere. L’episodio dell’estasi di Fran-cesco ha uno stretto legame con quello che trovavaposto nella lunetta sopra la finestra con l’apparizio-ne del Cristo crocifisso, entrambi riguardano la pro-fonda compassione del santo per il suo Signore chesi esprimeva anche con gemiti e lacrime e che, nelcaso dell’estasi si lega proprio al suo piangere la pas-sione di Cristo come se stesse avvenendo in quelmomento. Quindi quale migliore collocazione dellascena che non vicino all’immagine della Crocifissio-ne; il percorso di Francesco (la scena successiva èquella della morte) si conclude dunque con un ritor-no ai temi delle prime due lunette: la compassione ela preghiera che portano al contatto intimo con Dio,come a dire che egli non era cambiato nonostante ilgran numero di seguaci, ora raffigurati in numerodi undici o dodici, e i grandi eventi della sua vita. Ta-li esperienze di profonda e sincera religiosità, maga-ri in misura minore, potevano comunque far partedella vita di ogni uomo e questa dimensione umanami sembra abitare meglio nelle pitture della cappel-la piuttosto di quella apocalittica dell’alter Chri-stus.116 Nelle pitture infatti il santo non ha mai lestigmate, se non come attributo al di fuori del con-testo narrativo, né con ogni probabilità la Stigmatiz-zazione era presente in uno dei riquadri perduti.117Né credo che, come è stato a volte proposto, si siainteso alludere all’evento della Verna con l’immagi-ne della Crocifissione che sormonta l’altare in ragio-ne della presenza del santo inginocchiato ai piedidella croce.118 Si tratta dell’immagine cardine dellaspiritualità francescana, presente in entrambe leCrocifissioni nel coro di Assisi, e dunque penso chenon sia necessario trovarvi ulteriori valenze, piutto-sto mi sembra da sottolineare l’atteggiamento diFrancesco che, invece di abbracciare la croce o ac-clamare (come spesso si trova), incrocia le bracciasul petto nel gesto dell’obbedienza, un gesto chetorna, nella figura di Bernardo, proprio nel riquadrosuccessivo con la scena dell’ultima benedizione diFrancesco in punto di morte ai frati (L. m., xiv, 5).119Di nuovo qui si respira un’atmosfera domestica: ilprotagonista è seduto in un letto di legno chiaro,con davanti un cassone che funge forse anche dagradino, all’interno di un’alcova in pietra bianca ingentilita da sottili membrature e da una torretta concupolino (Fig. 90). I compagni si affollano al suo ca-pezzale con le mani giunte, tranne Bernardo, in pri-mo piano, che le tiene appunto incrociate. Il moren-te ha la mano destra sollevata per benedire e lasinistra posata sulla riversina del lenzuolo. Questamano costituisce il punto chiave della raffigurazionerivelando che, nel suo apparente intimismo, la scenacostituisce in realtà un chiaro manifesto polemicocontro una corrente di pensiero che, sulla scortadellaVita primadi Tommaso da Celano (109), soste-neva che frate Elia fosse stato presente alla mortedel fondatore e avesse ricevuto da lui l’investituracome suo successore mediante una sorta di benedi-zione a braccia incrociate, come quella di Giacobbeai figli di Giuseppe (Genesi, 48, 14). Quest’ultimoparticolare deriva dal testo di Bonaventura (xiv, 5),che non nomina Elia al letto di morte, ma parla diuna benedizione impartita con le braccia intrecciatea forma di croce; la questione oltremodo capziosaaveva sviluppato gravi polemiche fra le varie corren-ti dell’Ordine.120 La mano posata sul lenzuolo, benvisibile, vuole dunque ribadire che una sola fu la be-nedizione di Francesco, quella generale a «tutti i fra-ti vicini e lontani», come dice Bonaventura; la pre-senza di frate Bernardo, in primo piano nell’attodell’obbedienza, suggerisce però che comunque gliideatori di questo ciclo ritenevano che fosse stato luiil successore designato e silentio da Francesco ed èforse per questo che lo abbiamo già visto compari-re, arbitrariamente, nel colloquio con il papa e i car-dinali e che probabilmente potrebbe essere ricono-sciuto ancora in altri riquadri.121Le scene che seguono, le Esequie del santo (Fig.91) e il Trapasso di frate Agostino (Fig. 96), costitui-scono, oltre che la prosecuzione del racconto,122 an-che un inquadramento tematicamente coerente conl’iscrizione che doveva riferirsi in qualche modo alcommittente, il conte Ruggero e dunque alla sua se-poltura nella cappella e che, come già notato in pre-cedenza, costituisce uno dei punti focali della deco-razione, verso cui sono rivolti tutti i santi nei clipeidello zoccolo.123 La scena delle esequie, come osser-vato giustamente da Aglietti, accoglie anche l’episo-dio dell’accertamento delle stigmate da parte del cavaliere Girolamo.124 Nonostante la grave compro-missione della superficie dipinta, si può ancora rico-noscere che la composizione è ispirata alle due scenerelative del ciclo giottesco di Assisi e, per il particola-re del frate inginocchiato in primo piano a destra(Bernardo?), anche alla miniatura relativa delle Leg-genda di Madrid (Figg. 92-94). Benché si tratti anchedella verifica delle stigmate si deve notare che, rispet-to ai modelli citati, nell’affresco della cappella si puòchiaramente constatare nonostante i danni il fattoche le stigmate non sono visibili perché il corpo delsanto nei punti interessati è coperto da altri perso-naggi. Secondo Aglietti, le stigmate dovevano essereesibite nell’immagine dell’anima di Francesco che, afigura intera, diversamente da Assisi, viene portatain cielo dagli angeli: in questa zona resta veramenteassai poco della pellicola pittorica, le mani quasi nonsi vedono e quindi tantomeno le ferite; che queste cifossero è comunque verosimile, anche se va notatoche, nel riquadro successivo (Fig. 96), la figuretta delsanto che appare al frate Agostino morente di nuovochiaramente non le ha. La questione più sorpren-dente però è che guardando con attenzione entro ilclipeo dove si trova la figura dell’anima di Francesco,si scorge la tenue traccia di altre due figure angelicheche racchiudono il corpo del santo con le ali aperteverticalmente, a centottanta gradi (Fig. 95). Si trat-terebbe dunque di una vera e propria maestà, un dato che di primo acchito sembra confliggere con iltono discreto che si è visto prevalere finora nelle sce-ne, ma che riflettendo meglio può essere compresoalla luce della differenza tra il guscio mortale e l’ani-ma.125 Se le cose stanno così – resta ovviamente unmargine di dubbio, a causa del degrado della super-ficie dipinta – questa raffigurazione dell’anima delsanto si porrebbe come un antefatto di importantiimmagini di San Francesco in Gloria, come quellanel polittico di Taddeo di Bartolo per San Francescoal Prato a Perugia (1403) e quella nel polittico di Sansepolcro del Sassetta (1437-1444), e sarebbe un preco-ce rispecchiamento in chiave monumentale del tipa-rio della Custodia Assisiensis.126Tornando a considerare il ciclo nel suo insieme,direi che si percepisce nettamente la volontà, da parte di coloro che idearono queste pitture, di sotto-lineare in modo molto preciso specifici tratti dellapersonalità e della storia del santo, utilizzando sia lascelta degli episodi, sia il modo di raffigurarli. A talfine essi poterono sfruttare una profonda conoscen-za delle fonti agiografiche e di un diversificato reper-torio di modelli, tra i quali, oltre ovviamente al cicloassisiate, vi doveva essere di certo un manoscritto illustrato della Legenda major del tipo di quello, piùvolte citato, dell’Archivo Ibero-Americano di Madrid. L’intenzione che traspare con maggiore evi-denza è quella di presentare il santo come un giova-ne sensibile, che piange e geme in luoghi solitari pen-sando alla passione di Cristo ma affronta sorridendole difficoltà della vita e cerca di aiutare gli altri mate-rialmente e spiritualmente, restando comunque sestesso dall’inizio alla fine: un modello dunque di san-tità ‘possibile’, aliena da dimensioni eroiche o prov-videnziali. Importante è sicuramente anche la sotto-lineatura del valore fondamentale della Regolaoriginaria, del suo contenuto evangelico, e l’insisten-za sul carattere esemplare della prima comunità dicompagni, nonché sul ruolo rilevante di Bernardo diQuintavalle; assente sembra però ogni intento pole-mico, anche nella puntualizzazione relativa alla be-nedizione ai frati in punto di morte. Il variare nel co-lore dell’abito dei frati corrisponde alla prescrizioneche esso fosse di stoffa vile e non colorata come in-dica la Regula non bullata(ii, 8, 14) ma per quanto ri-guarda la foggia dell’abito e del cappuccio ci si attie-ne alle norme ribadite nel Capitolo generale di Assisidel 1354 che intesero porre un freno agli eccessi rigo-risti dei primi movimenti Osservanti.127Purtroppo nessuna fonte storica ci permette dirintracciare nel luogo un personaggio o un ambientea cui collegare opzioni che appaiono così determina-te. Secondo alcuni autori presso il convento di Ca-stelvecchio vi sarebbe stato nel Trecento uno studioteologico.128 La notizia risalirebbe agli atti del pro-cesso ad Andrea da Gagliano e pertanto riguardereb-be comunque un periodo piuttosto lontano da quel-lo delle pitture, anteriore al 1337-1338. Questa notiziainoltre è tutt’altro che certa in quanto nella biografiadel frate menzionato si dice semplicemente che soggiornò tra il 1315 e il 1321 «in diversis conventibus etstudiis videlicet in conventu Aquilensi et alibi».129 Alcunielementi, come si è visto, stabiliscono una relazionecon i Fioretti, come la scelta della scena di Francescoassalito dai concittadini o la visibilità di Bernardo;inoltre si può osservare che nelle Considerazioni sullestimmateche chiudono iFiorettivengono menzionativari episodi che compaiono nel ciclo della cappella:l’estasi, il concerto angelico, il passaggio per BorgoSan Sepolcro. Con questo testo, peraltro vi è ancheuna concomitanza cronologica e topografica, essovenne redatto infatti intorno agli anni 1370-1390 traducendo in volgare, rielaborando in parte e inte-grando gli Actus beati Francisci et sociorum eius,un’opera scritta tra il 1320 e il 1340 dal frate marchi-giano Ugolino di Montegiorgio. Sfumature senesinel volgare dei Fiorettihanno fatto pensare a una lo-calizzazione della traduzione in terra toscana, mal’ipotesi non è stata confermata e in sostanza l’autoreresta anonimo anche se l’ambiente è evidentementequello dei frati di tradizione spirituale tra Marche,Toscana e Umbria.130 Vicina all’atmosfera dei Fiorettiè anche l’insistenza in più punti sull’attività contem-plativa di Francesco e dei suoi seguaci e il generaletono di letizia, tali aspetti però non giungono fino acreare quel clima incantato e atemporale che carat-terizza il testo letterario.131 Al contrario, come si èsottolineato in precedenza, in diversi brani della pit-tura vi è un chiaro riferimento alla contemporaneità.In merito a ciò si può ancora notare come la scenadella benedizione ai frati in punto di morte si distingue nettamente da tale fonte, dove non manca il particolare dell’incrocio delle braccia inserito con lavolontà di favorire Bernardo, il quale per modestiaaveva voluto cedere il posto a destra ad Elia.132 Laquestione, come già si è detto,133 è tendenziosa e ilconfronto tra l’arzigogolato racconto della fonte el’atmosfera limpida e serena dell’affresco (Fig. 87)mi sembra comunicare con evidenza la misura del-l’autonomia di pensiero da parte di coloro che idea-rono le composizioni del ciclo, nelle quali, ripeto,l’aspetto più originale mi sembra quello che riprodu-ce scenari, situazioni e personaggi che potevano evocare la vita che effettivamente si svolgeva nellecircostanti contrade con l’intento di sottolineare l’at-tualità della vicenda di Francesco e la necessità del-l’azione dei suoi frati, evitando accuratamente ogniostentazione.Una parte degli studi è stata condotta verso unaesegesi in senso cristologico delle pitture della cap-pella dei conti di Celano anche in ragione della pre-senza nella chiesa di Castelvecchio di una reliquiamiracolosa del sangue di San Francesco,134 la qualepoco dopo la realizzazione delle pitture era stata col-locata in un nuovo reliquiario in cristallo di rocca eargento.135 Anche se questo reliquiario è stato realiz-zato a poca distanza dalla decorazione della cappellanon è necessario, a mio parere, che vi si debba trova-re per forza una relazione con il ciclo agiografico inessa dipinto, la venerazione del sangue del santo po-teva benissimo avere il suo corrispettivo iconografi-co nelle pitture del coro dove la Stigmatizzazioneaveva un grande rilievo e tale ipotesi è confortata dalfatto che, come ha osservato Irene Sabatini, la tecain quarzo incolore che contiene l’ampolla e altre re-liquie è con buona probabilità preesistente rispettoall’assemblaggio del reliquiario quattrocentesco.136Una tale considerazione può valere, credo, anche piùin generale, le rare testimonianze che abbiamo dipellegrinaggi nella speranza di guarigioni e salutespirituale devono riguardare la chiesa del santo nelsuo complesso e non la cappella dei conti nello spe-cifico, di suam ecclesiam visitaret parla infatti Bartolo-meo da Pisa.137L’ampio ciclo tardogotico che, secondo una prassiquasi doverosa all’epoca per una famiglia aristocrati-ca, venne commissionato dai da Celano non dovetteobliterare le pitture del coro. Credo invece che que-ste ultime continuarono ad essere, fino al dissolvi-mento della facies medievale dell’edificio, il fulcrodel programma figurativo, in quanto legate alla cele-brazione liturgica principale e a un passato gloriosoin cui riecheggiava il mito del passaggio dello stessoFrancesco. Qui nel coro abbiamo effettivamente unaccostamento del fondatore al Cristo anche se, comeho cercato di mostrare, il fine di tale accostamentonon sembrerebbe l’esaltazione eroica del santoquanto piuttosto la sottolineatura della necessità delsuo ruolo nel processo di redenzione delle anime.Rispetto al carattere simbolico ed esegetico del pro-gramma iconografico di fine Duecento, che oltre alcoro investe anche il culmine delle pareti della nava-ta centrale, gli affreschi trecenteschi appaiono diluireil contenuto ideologico, comunque importante, inun racconto ambientato nel concreto della vita deltempo. In entrambi i casi colpisce la capacità di ela-borare soluzioni ad hoc sfruttando la padronanza diuna vasta gamma di modelli. Osservando nei detta-gli queste pitture si ha la chiara consapevolezza delcomplesso e originale lavoro di coloro i quali le han-no concepite e realizzate anche se purtroppo le lacu-ne della documentazione storica non permettonoancora di tracciarne l’identikit.