in ogni ingiuria e ischerno passandosi paziente comesordo e muto; messere Bernardo d’Ascesi, il qualeera de’ più nobili e de’ più ricchi e de’ più savi dellacittà, cominciò a considerare saviamente in santoFrancesco il così eccessivo dispregio del mondo, lagrande pazienza nelle ingiurie, che già per due annicosì abominato e disprezzato da ogni persona sem-pre parea più costante e paziente, cominciò a pensa-re e a dire tra sé medesimo: “Per nessuno modo puo-te che questo Francesco non abbia grande grazia daDio”. E sì lo invitò la sera a cena e albergo; e santoFrancesco accettò e cenò la sera con lui e albergò».106Anche in questo caso quindi si tratta di una cronacadi vita cittadina, ci sono i più ottusi e violenti, parentied estranei, che si scagliano contro il santo perchénon tollerano la sua diversità, mentre altri osservanoe fanno le proprie considerazioni. L’atmosfera dellascena seguente, la rinuncia ai beni (Fig. 63), è permolti aspetti analoga, Francesco ha però ora trovatorifugio sotto al piviale del vescovo. Nelle scene suc-cessive ormai il dato è tratto: la nuova comunitàprende vita; ben tre scene in sequenza presentano ilsanto con i suoi primi sette compagni. Le prime duesono ambientate alla Porziuncola, dove, come affer-ma Bonaventura, ebbe inizio l’Ordine dei frati mino-ri, e nella seconda si ha cura di inserire dei particolariche, in conformità al racconto della Legenda major(ii,8), identificano esplicitamente questa chiesa: i qua-drilobi con l’Annunciazione, che devono alludere al-la dedica mariana, e «le frequenti apparizioni di an-geli».107 Per quanto riguarda il primo riquadro (Fig.64), è chiaro che si riferisce alla vestizione dei nuovifrati e non corrisponde ad un passo specifico dellebiografie ma allude nel complesso alla formazionedel primo gruppo di otto.108 La scena seguente (Fig.65) si deve riferire al momento successivo in cui Fran-cesco convoca i suoi frati per inviarli ad annunciarela pace e predicare la penitenza (L. m., iii, 7). L’episo-dio successivo è ambientato all’aperto, su montagneverdeggianti (Fig. 66): Francesco e i suoi sono ingi-nocchiati ed ascoltano le parole di un angelo sospesonel cielo, uno dei compagni scrive su una pergame-na. La raffigurazione deve riferirsi alla prima ‘formu-la di vita’ che il santo volle scrivere quando si reseconto del crescere dei seguaci e che subito vorrà sot-toporre alla Sede apostolica (L. m., iii, 8). Si tratta diuna scena che non ha una sua tradizione iconografi-ca, tanto che si può restare in dubbio sulla sua inter-pretazione.109 Di particolare interesse è il confrontocon l’illustrazione corrispondente, a mio avviso, del-la Legenda di Madrid, dove si trovano solo Francesco,seduto su un banco intento a scrivere, e l’angelo cheplana verso di lui in un modo assai simile a quellodell’affresco, benché i gesti siano diversi (Figg. 66-67). A Castelvecchio dunque, rispetto al modello co-stituito da una miniatura analoga a quella citata, so-no stati aggiunti i compagni e tutta la scena è statatrasportata in montagna; per quanto riguarda il se-condo punto se ne potrebbe dedurre l’intenzione dialludere anche alla seguente vera e propria dettaturadelle Regola, che ebbe luogo dopo la visione del-l’ostia formata di briciole (L. m., iv, 11), ma anche inquesto caso il numero dei compagni risulta eccessi-vo, il testo di Bonaventura parla esplicitamente didue compagni e tanti ne compaiono infatti nella mi-niatura corrispondente di Madrid (Fig. 68). L’inser-zione della comunità dei primi compagni110 deve es-sere stata voluta, per così dire, in sé per sé, e questocertamente è un segnale da considerare con atten-zione per tratteggiare l’ambiente sprirituale e cultu-rale che ha concepito la decorazione pittorica dellacappella.Il ciclo continua con il Sogno di Innocenzo iii(Fig. 69) raffigurato in un modo che non suscita par-ticolari perplessità. Si può solo notare che la compo-sizione si presenta invertita rispetto all’uso corrente,fatto che potrebbe essere dovuto a ragioni composi-tive, perché la linea obliqua del santo che sorreggela chiesa si armonizza molto meglio con la curvadella parete e inoltre così si è venuto a creare un gradevole pendanttra le due scene laterali del registro(Fig. 52). Segue, sulla parete contigua, una raffigu-razione frammentaria in cui si può però chiaramen-te riconoscere un altro episodio non presente abi-tualmente (Fig. 70). Invece della Conferma dellaRegola che ci si dovrebbe aspettare a questo puntosi trova rappresentato il momento precedente,quando, secondo il racconto di Bonaventura (L. m.,iii, 10), il poverello si era presentato una prima voltaal cospetto del sommo pontefice per chiedere l’ap-provazione della regola di vita che aveva presentatoe gli era stato risposto che ad alcuni cardinali essaera apparsa troppo strana e troppo aspra per uomininormali, ma in favore del santo era intervenuto ilcardinale Giovanni di San Paolo dicendo: «Questopovero, in realtà ci chiede soltanto che gli venga ap-provata una forma di vita evangelica. Se dunque re-spingiamo la sua richiesta, come troppo difficile estrana, stiamo attenti che non ci capiti di fare ingiu-ria al vangelo».111 Il brano pittorico illustra molto fe-delmente il brano di Bonaventura si vede chiara-mente il testo della regola arrotolato in mano a unodei cardinali che l’avevano trovata «strana e aspra» eil gesto protettivo del cardinale di San Paolo che in-tercede perché la richiesta venga approvata.112 Ri-spetto alla scena corrispondente nel manoscritto diMadrid, l’unico tra quelli di mia conoscenza che pre-senta questo momento (Fig. 71), colpisce, nella sce-na di Castelvecchio, l’inserimento di un altro frate,con ogni probabilità Bernardo di Quintavalle, il pri-mo seguace, in deroga anche al testo di Bonaventurae questo va di nuovo nel senso di quanto osservatoprima a proposito della scrittura della Regola. È unaparticolare disdetta che l’apertura dell’arco verso lanavata della chiesa abbia distrutto irrimediabilmen-te il successivo riquadro, poiché con quello ancoraseguente ci troviamo nuovamente di fronte a un epi-sodio assai raro (al di fuori dei manoscritti miniati)e molto distante cronologicamente da tutto ciò cheprecede; siamo infatti all’ultimo anno della vita delsanto, già nel pieno della sua passione: egli ha subitoda poco una tremenda operazione agli occhi e giacesofferente, nel corpo e nello spirito, il Signore trami-te le melodie eseguite dagli angeli gli offre il confor-to che egli ha inutilmente chiesto ai suoi fratelli(Figg. 72-73). In questo registro dunque la storia cheera cominciata con l’aggressione da parte dei concit-tadini si conclude nel dolore e nell’abbandono daparte degli uomini, ma con il conforto di Dio.113 Sa-rebbe stato di primaria importanza pertanto potervalutare l’episodio che faceva da tramite tra l’incon-tro del santo con il papa e i cardinali e il concerto an-gelico, ma non mi sembra reperibile al momento al-cun indizio in merito. Quello che si può osservare èche il registro è tutto dedicato alle esperienze intimedel fondatore e dei suoi primi compagni, al convin-cimento circa la propria missione e alla dolcezza disapere che Dio può consolare nelle tribolazioni.Il registro mediano sembrerebbe riguardare inve-ce la vita pubblica, vale a dire la predicazione e la celebrazione delle azioni e delle virtù del santo, anchese la situazione estremamente lacunosa non permet-te l’approfondimento che sarebbe necessario. Le sce-ne di identificazione certa sono in realtà solo tre: laVisione del carro di fuoco, l’Incontro con le personi-ficazioni delle virtù di Castità, Obbedienza e Povertàe la Predica davanti al sultano; per quanto riguardale altre, la situazione resta molto controversa, comesi è mostrato in precedenza.Maggiori elementi da valutare li offre invece dinuovo il registro inferiore. Qui abbiamo notato giàall’inizio la presenza di due poli: da una parte la me-moria del defunto, dall’altra l’altare con la Crocifis-sione. Anche in questa zona una variazione rispettoal modello assisiate risulta particolarmente pre-gnante: nel riquadro a sinistra, l’immagine dell’esta-si di San Francesco durante la preghiera non seguel’esempio giottesco, né per quanto riguarda la com-posizione, né per quanto riguarda la collocazione(Figg. 87-88).114 Di primo acchito si sarebbe tentatidi riconoscere nelle scelte operate a Castelvecchio –la posizione del santo, il monticello e la contiguitàcon la Crocefissione – la volontà di creare un’analo-gia con l’Orazione nell’orto, dato che ci troviamonegli anni in cui Bartolomeo da Pisa poneva termi-ne alDe conformitate, opera monumentale dedicataal tema, peraltro fondamentale sin dagli esordi, delparallelismo tra Francesco e Cristo.115 Tuttavia aben vedere non credo che sia questa la strada piùgiusta da percorrere. L’episodio dell’estasi di Fran-cesco ha uno stretto legame con quello che trovavaposto nella lunetta sopra la finestra con l’apparizio-ne del Cristo crocifisso, entrambi riguardano la pro-fonda compassione del santo per il suo Signore chesi esprimeva anche con gemiti e lacrime e che, nelcaso dell’estasi si lega proprio al suo piangere la pas-sione di Cristo come se stesse avvenendo in quelmomento. Quindi quale migliore collocazione dellascena che non vicino all’immagine della Crocifissio-ne; il percorso di Francesco (la scena successiva èquella della morte) si conclude dunque con un ritor-no ai temi delle prime due lunette: la compassione ela preghiera che portano al contatto intimo con Dio,come a dire che egli non era cambiato nonostante ilgran numero di seguaci, ora raffigurati in numerodi undici o dodici, e i grandi eventi della sua vita. Ta-li esperienze di profonda e sincera religiosità, maga-ri in misura minore, potevano comunque far partedella vita di ogni uomo e questa dimensione umanami sembra abitare meglio nelle pitture della cappel-la piuttosto di quella apocalittica dell’alter Chri-stus.116 Nelle pitture infatti il santo non ha mai lestigmate, se non come attributo al di fuori del con-testo narrativo, né con ogni probabilità la Stigmatiz-zazione era presente in uno dei riquadri perduti.117Né credo che, come è stato a volte proposto, si siainteso alludere all’evento della Verna con l’immagi-ne della Crocifissione che sormonta l’altare in ragio-ne della presenza del santo inginocchiato ai piedidella croce.118 Si tratta dell’immagine cardine dellaspiritualità francescana, presente in entrambe leCrocifissioni nel coro di Assisi, e dunque penso chenon sia necessario trovarvi ulteriori valenze, piutto-sto mi sembra da sottolineare l’atteggiamento diFrancesco che, invece di abbracciare la croce o ac-clamare (come spesso si trova), incrocia le bracciasul petto nel gesto dell’obbedienza, un gesto chetorna, nella figura di Bernardo, proprio nel riquadrosuccessivo con la scena dell’ultima benedizione diFrancesco in punto di morte ai frati (L. m., xiv, 5).119Di nuovo qui si respira un’atmosfera domestica: ilprotagonista è seduto in un letto di legno chiaro,con davanti un cassone che funge forse anche dagradino, all’interno di un’alcova in pietra bianca ingentilita da sottili membrature e da una torretta concupolino (Fig. 90). I compagni si affollano al suo ca-pezzale con le mani giunte, tranne Bernardo, in pri-mo piano, che le tiene appunto incrociate. Il moren-te ha la mano destra sollevata per benedire e lasinistra posata sulla riversina del lenzuolo. Questamano costituisce il punto chiave della raffigurazionerivelando che, nel suo apparente intimismo, la scenacostituisce in realtà un chiaro manifesto polemicocontro una corrente di pensiero che, sulla scortadellaVita primadi Tommaso da Celano (109), soste-neva che frate Elia fosse stato presente alla mortedel fondatore e avesse ricevuto da lui l’investituracome suo successore mediante una sorta di benedi-zione a braccia incrociate, come quella di Giacobbeai figli di Giuseppe (Genesi, 48, 14). Quest’ultimoparticolare deriva dal testo di Bonaventura (xiv, 5),che non nomina Elia al letto di morte, ma parla diuna benedizione impartita con le braccia intrecciatea forma di croce; la questione oltremodo capziosaaveva sviluppato gravi polemiche fra le varie corren-ti dell’Ordine.120 La mano posata sul lenzuolo, benvisibile, vuole dunque ribadire che una sola fu la be-nedizione di Francesco, quella generale a «tutti i fra-ti vicini e lontani», come dice Bonaventura; la pre-senza di frate Bernardo, in primo piano nell’attodell’obbedienza, suggerisce però che comunque gliideatori di questo ciclo ritenevano che fosse stato luiil successore designato e silentio da Francesco ed èforse per questo che lo abbiamo già visto compari-re, arbitrariamente, nel colloquio con il papa e i car-dinali e che probabilmente potrebbe essere ricono-sciuto ancora in altri riquadri.121Le scene che seguono, le Esequie del santo (Fig.91) e il Trapasso di frate Agostino (Fig. 96), costitui-scono, oltre che la prosecuzione del racconto,122 an-che un inquadramento tematicamente coerente conl’iscrizione che doveva riferirsi in qualche modo alcommittente, il conte Ruggero e dunque alla sua se-poltura nella cappella e che, come già notato in pre-cedenza, costituisce uno dei punti focali della deco-razione, verso cui sono rivolti tutti i santi nei clipeidello zoccolo.123 La scena delle esequie, come osser-vato giustamente da Aglietti, accoglie anche l’episo-dio dell’accertamento delle stigmate da parte del cavaliere Girolamo.124 Nonostante la grave compro-missione della superficie dipinta, si può ancora rico-noscere che la composizione è ispirata alle due scenerelative del ciclo giottesco di Assisi e, per il particola-re del frate inginocchiato in primo piano a destra(Bernardo?), anche alla miniatura relativa delle Leg-genda di Madrid (Figg. 92-94). Benché si tratti anchedella verifica delle stigmate si deve notare che, rispet-to ai modelli citati, nell’affresco della cappella si puòchiaramente constatare nonostante i danni il fattoche le stigmate non sono visibili perché il corpo delsanto nei punti interessati è coperto da altri perso-naggi. Secondo Aglietti, le stigmate dovevano essereesibite nell’immagine dell’anima di Francesco che, afigura intera, diversamente da Assisi, viene portatain cielo dagli angeli: in questa zona resta veramenteassai poco della pellicola pittorica, le mani quasi nonsi vedono e quindi tantomeno le ferite; che queste cifossero è comunque verosimile, anche se va notatoche, nel riquadro successivo (Fig. 96), la figuretta delsanto che appare al frate Agostino morente di nuovochiaramente non le ha. La questione più sorpren-dente però è che guardando con attenzione entro ilclipeo dove si trova la figura dell’anima di Francesco,si scorge la tenue traccia di altre due figure angelicheche racchiudono il corpo del santo con le ali aperteverticalmente, a centottanta gradi (Fig. 95). Si trat-terebbe dunque di una vera e propria maestà, un dato che di primo acchito sembra confliggere con iltono discreto che si è visto prevalere finora nelle sce-ne, ma che riflettendo meglio può essere compresoalla luce della differenza tra il guscio mortale e l’ani-ma.125 Se le cose stanno così – resta ovviamente unmargine di dubbio, a causa del degrado della super-ficie dipinta – questa raffigurazione dell’anima delsanto si porrebbe come un antefatto di importantiimmagini di San Francesco in Gloria, come quellanel polittico di Taddeo di Bartolo per San Francescoal Prato a Perugia (1403) e quella nel polittico di Sansepolcro del Sassetta (1437-1444), e sarebbe un preco-ce rispecchiamento in chiave monumentale del tipa-rio della Custodia Assisiensis.126Tornando a considerare il ciclo nel suo insieme,direi che si percepisce nettamente la volontà, da parte di coloro che idearono queste pitture, di sotto-lineare in modo molto preciso specifici tratti dellapersonalità e della storia del santo, utilizzando sia lascelta degli episodi, sia il modo di raffigurarli. A talfine essi poterono sfruttare una profonda conoscen-za delle fonti agiografiche e di un diversificato reper-torio di modelli, tra i quali, oltre ovviamente al cicloassisiate, vi doveva essere di certo un manoscritto illustrato della Legenda major del tipo di quello, piùvolte citato, dell’Archivo Ibero-Americano di Madrid. L’intenzione che traspare con maggiore evi-denza è quella di presentare il santo come un giova-ne sensibile, che piange e geme in luoghi solitari pen-sando alla passione di Cristo ma affronta sorridendole difficoltà della vita e cerca di aiutare gli altri mate-rialmente e spiritualmente, restando comunque sestesso dall’inizio alla fine: un modello dunque di san-tità ‘possibile’, aliena da dimensioni eroiche o prov-videnziali. Importante è sicuramente anche la sotto-lineatura del valore fondamentale della Regolaoriginaria, del suo contenuto evangelico, e l’insisten-za sul carattere esemplare della prima comunità dicompagni, nonché sul ruolo rilevante di Bernardo diQuintavalle; assente sembra però ogni intento pole-mico, anche nella puntualizzazione relativa alla be-nedizione ai frati in punto di morte. Il variare nel co-lore dell’abito dei frati corrisponde alla prescrizioneche esso fosse di stoffa vile e non colorata come in-dica la Regula non bullata(ii, 8, 14) ma per quanto ri-guarda la foggia dell’abito e del cappuccio ci si attie-ne alle norme ribadite nel Capitolo generale di Assisidel 1354 che intesero porre un freno agli eccessi rigo-risti dei primi movimenti Osservanti.127Purtroppo nessuna fonte storica ci permette dirintracciare nel luogo un personaggio o un ambientea cui collegare opzioni che appaiono così determina-te. Secondo alcuni autori presso il convento di Ca-stelvecchio vi sarebbe stato nel Trecento uno studioteologico.128 La notizia risalirebbe agli atti del pro-cesso ad Andrea da Gagliano e pertanto riguardereb-be comunque un periodo piuttosto lontano da quel-lo delle pitture, anteriore al 1337-1338. Questa notiziainoltre è tutt’altro che certa in quanto nella biografiadel frate menzionato si dice semplicemente che soggiornò tra il 1315 e il 1321 «in diversis conventibus etstudiis videlicet in conventu Aquilensi et alibi».129 Alcunielementi, come si è visto, stabiliscono una relazionecon i Fioretti, come la scelta della scena di Francescoassalito dai concittadini o la visibilità di Bernardo;inoltre si può osservare che nelle Considerazioni sullestimmateche chiudono iFiorettivengono menzionativari episodi che compaiono nel ciclo della cappella:l’estasi, il concerto angelico, il passaggio per BorgoSan Sepolcro. Con questo testo, peraltro vi è ancheuna concomitanza cronologica e topografica, essovenne redatto infatti intorno agli anni 1370-1390 traducendo in volgare, rielaborando in parte e inte-grando gli Actus beati Francisci et sociorum eius,un’opera scritta tra il 1320 e il 1340 dal frate marchi-giano Ugolino di Montegiorgio. Sfumature senesinel volgare dei Fiorettihanno fatto pensare a una lo-calizzazione della traduzione in terra toscana, mal’ipotesi non è stata confermata e in sostanza l’autoreresta anonimo anche se l’ambiente è evidentementequello dei frati di tradizione spirituale tra Marche,Toscana e Umbria.130 Vicina all’atmosfera dei Fiorettiè anche l’insistenza in più punti sull’attività contem-plativa di Francesco e dei suoi seguaci e il generaletono di letizia, tali aspetti però non giungono fino acreare quel clima incantato e atemporale che carat-terizza il testo letterario.131 Al contrario, come si èsottolineato in precedenza, in diversi brani della pit-tura vi è un chiaro riferimento alla contemporaneità.In merito a ciò si può ancora notare come la scenadella benedizione ai frati in punto di morte si distingue nettamente da tale fonte, dove non manca il particolare dell’incrocio delle braccia inserito con lavolontà di favorire Bernardo, il quale per modestiaaveva voluto cedere il posto a destra ad Elia.132 Laquestione, come già si è detto,133 è tendenziosa e ilconfronto tra l’arzigogolato racconto della fonte el’atmosfera limpida e serena dell’affresco (Fig. 87)mi sembra comunicare con evidenza la misura del-l’autonomia di pensiero da parte di coloro che idea-rono le composizioni del ciclo, nelle quali, ripeto,l’aspetto più originale mi sembra quello che riprodu-ce scenari, situazioni e personaggi che potevano evocare la vita che effettivamente si svolgeva nellecircostanti contrade con l’intento di sottolineare l’at-tualità della vicenda di Francesco e la necessità del-l’azione dei suoi frati, evitando accuratamente ogniostentazione.Una parte degli studi è stata condotta verso unaesegesi in senso cristologico delle pitture della cap-pella dei conti di Celano anche in ragione della pre-senza nella chiesa di Castelvecchio di una reliquiamiracolosa del sangue di San Francesco,134 la qualepoco dopo la realizzazione delle pitture era stata col-locata in un nuovo reliquiario in cristallo di rocca eargento.135 Anche se questo reliquiario è stato realiz-zato a poca distanza dalla decorazione della cappellanon è necessario, a mio parere, che vi si debba trova-re per forza una relazione con il ciclo agiografico inessa dipinto, la venerazione del sangue del santo po-teva benissimo avere il suo corrispettivo iconografi-co nelle pitture del coro dove la Stigmatizzazioneaveva un grande rilievo e tale ipotesi è confortata dalfatto che, come ha osservato Irene Sabatini, la tecain quarzo incolore che contiene l’ampolla e altre re-liquie è con buona probabilità preesistente rispettoall’assemblaggio del reliquiario quattrocentesco.136Una tale considerazione può valere, credo, anche piùin generale, le rare testimonianze che abbiamo dipellegrinaggi nella speranza di guarigioni e salutespirituale devono riguardare la chiesa del santo nelsuo complesso e non la cappella dei conti nello spe-cifico, di suam ecclesiam visitaret parla infatti Bartolo-meo da Pisa.137L’ampio ciclo tardogotico che, secondo una prassiquasi doverosa all’epoca per una famiglia aristocrati-ca, venne commissionato dai da Celano non dovetteobliterare le pitture del coro. Credo invece che que-ste ultime continuarono ad essere, fino al dissolvi-mento della facies medievale dell’edificio, il fulcrodel programma figurativo, in quanto legate alla cele-brazione liturgica principale e a un passato gloriosoin cui riecheggiava il mito del passaggio dello stessoFrancesco. Qui nel coro abbiamo effettivamente unaccostamento del fondatore al Cristo anche se, comeho cercato di mostrare, il fine di tale accostamentonon sembrerebbe l’esaltazione eroica del santoquanto piuttosto la sottolineatura della necessità delsuo ruolo nel processo di redenzione delle anime.Rispetto al carattere simbolico ed esegetico del pro-gramma iconografico di fine Duecento, che oltre alcoro investe anche il culmine delle pareti della nava-ta centrale, gli affreschi trecenteschi appaiono diluireil contenuto ideologico, comunque importante, inun racconto ambientato nel concreto della vita deltempo. In entrambi i casi colpisce la capacità di ela-borare soluzioni ad hoc sfruttando la padronanza diuna vasta gamma di modelli. Osservando nei detta-gli queste pitture si ha la chiara consapevolezza delcomplesso e originale lavoro di coloro i quali le han-no concepite e realizzate anche se purtroppo le lacu-ne della documentazione storica non permettonoancora di tracciarne l’identikit.